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di AMDuemila
Questa mattina la seconda parte della requisitoria del pm Gabriele Paci

"Anche Matteo Messina Denaro partecipò alle barbarie cui fu sottoposto il piccolo Giuseppe Di Matteo, rapito e tenuto prigioniero per tre anni per poi essere ucciso e sciolto nell'acido, autorizzando che il bambino, nel corso della lunga prigionia, restassi per tre occasioni ristretto in un immobile vicino Castellamare e in uno vicino Custonaci". A dirlo è il pubblico ministero Gabriele Paci nel corso della seconda tranche della requisitoria, iniziata la scorsa settimana, del processo di Caltanissetta contro il super latitante Matteo Messina Denaro, accusato di essere mandante delle stragi di mafia del 1992. L’accusa, davanti alla Corte d'Assise di Caltanissetta, ha affermato che nel delitto del piccolo Giuseppe Di Matteo - figlio del mafioso Santino sequestrato per tentare di bloccare la collaborazione del padre con la giustizia - Matteo Messina Denaro oltre a organizzare e deliberare il sequestro mette a disposizione, nel trapanese, i covi in cui il piccolo Di Matteo viene tenuto segregato". L’11 gennaio del 1996, dopo 779 giorni di prigionia, il piccolo di Matteo venne strangolato e sciolto nell'acido da Cosa nostra.

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Di padre in figlio
Durante la requisitoria Paci ha ricostruito la storia dell’ascesa criminale di Matteo Messina Denaro e dell’eredità raccolta dal padre Francesco.
"E' solo sul finire degli anni Novanta che cominciano a coagularsi elementi nei confronti di Francesco Messina Denaro, che fino a quel momento, dal punto di vista giudiziario, era quasi uno sconosciuto”, ha detto in aula il pubblico ministero. "E' attraverso le dichiarazioni dei collaboratori - ha continuato Paci - che si arriva finalmente a delineare lo spessore criminale di Francesco Messina Denaro. Balduccio Di Maggio è il primo fra tutti a indicarlo come capo della provincia di Trapani. Di Maggio disse che padre e figlio furono nell'89, rispettivamente mandante ed esecutore, dell'omicidio di quattro persone nelle campagne di Partinico. Per questo delitto furono condannati all'ergastolo. Questo è l'unico omicidio, tra quelli conosciuti, in cui partecipano insieme padre e figlio ed è una sorta di passaggio di testimone. In pochi mesi la figura di Francesco Messina Denaro evaporerà”. "Anche Ciro Vara - ha aggiunto - indica con certezza Francesco Messina Denaro come capo mandamento di Castelvetrano e capo della provincia di Trapani, e lo stesso Giovanni Brusca dice che Totò Riina stravedeva per Francesco Messina Denaro".

La provincia di Trapani
L’accusa ha parlato in aula anche dell’importanza determinante della provincia mafiosa di Trapani all’interno della compagine di Cosa nostra. "Trapani è l'ambientazione dove tutto nasce e tutto si svolge”, ha affermato il procuratore aggiunto di Caltanissetta. "Le prime collaborazioni degli anni novanta non sono di uomini d'onore, ma di personaggi secondari - ha detto il magistrato - che avevano avuto contatti per varie ragioni con i mafiosi del territorio, come Giacoma Filippello, ex del boss Natale L'Ala, ucciso a Campobello di Mazara. Oppure Rosario Spatola, che non era uomo d'onore ma operava nel traffico di droga, così come Vincenzo Calcara". Poi venne il momento delle collaborazioni dei vecchi boss, iniziate dopo l'arresto del Capo dei capi Totò Riina, a partire da quelle di Balduccio Di Maggio, Santino Di Matteo, Giovanni Brusca e Gioacchino La Barbera. "Trapani non è il centro del mondo, ma bisogna capirne la qualità e comprendere anche a cosa serviva il consenso dei trapanesi per le Stragi del novantadue", ha aggiunto Paci, soffermandosi ulteriormente sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giuseppe Ferro, che raccolse la reggenza di Alcamo dopo l'uccisione di Vincenzo Milazzo del 14 luglio 1992. "Le sue dichiarazioni, iniziate nel 1996 - ha proseguito la sua requisitoria continua il pm - mettono un paletto fisso per comprendere il passaggio di consegne tra il padre e il figlio". L'omicidio Milazzo avvenne durante una riunione svolta a Mazara de Vallo: "però non c'era il padre, ma il figlio: quindi a metà di luglio, da quello che ci racconta Ferro, siamo certi che Matteo facesse le veci del padre". Per il procuratore "l'omicidio di Pietro Calvaurso del 26 settembre 1991 è una sorta di spartiacque nella successione tra il padre don Ciccio e il figlio Matteo, perché fu quest'ultimo a dirigere una piccola commissione che si premurò - ha concluso - di interrogare Calvaruso prima di ucciderlo”.

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