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di Davide de Bari
Era il 10 marzo 1948 quando il sindacalista di Corleone Placido Rizzotto scomparve.
Per sapere che Rizzotto era stato ucciso non ci fu comunque bisogno di aspettare il ritrovamento dei resti del corpo, avvenuto il 7 settembre 2009, o la comparazione, nel 2012, con il Dna del corpo del padre, riesumato per l'occasione.
Sin dal giorno della sua scomparsa era già chiaro quel che era successo.
Placido Rizzotto era un uomo coraggioso che si oppose con fermezza a Cosa nostra.
Era stato un partigiano in Friuli Venezia Giulia e alla fine della Guerra si iscrisse al Partito Socialista Italiano, prestando servizio come sindacalista della CGIL.
Sin dal primo momento ebbe modo di comprendere che nella sua città natale, Corleone, la cappa mafiosa era ben presente.
A capo della cosca di Cosa nostra vi era il primario dell’ospedale di Corleone, Michele Navarra, insieme ai suoi sodali tra cui spiccavano figure che avrebbero successivamente fatto la storia di Cosa nostra come Luciano Liggio, Salvatore Riina e Bernardo Provenzano. I mafiosi presero subito di mira il sindacalista, che si batteva e aiutava i contadini nel difendere le loro terre chiedendo l’applicazione del “decreto Gullo”, che prevedeva l’obbligo ai proprietari terrieri di cedere le terre abbandonate o mal coltivate alle cooperative di contadini. Con l’applicazione del decreto molte terre vennero sottratte alla cosca.
Ma vi fu anche un ulteriore episodio che inasprì ulteriormente le tensioni tra i mafiosi corleonesi ed il sindacalista: Rizzotto umiliò pubblicamente Luciano Liggio, aggredendolo fisicamente e appendendolo all'inferriata della Villa Comunale.
La vendetta non tardò ad arrivare. Infatti, la sera del 10 marzo 1948 a Rizzotto gli fu tesa una trappola dal suo collega, Pasquale Criscione, colluso con Cosa nostra. Subito dopo, il sindacalista fu portato in un cascinale in Contrada Marvello, dove con l’aiuto di Pasquale Crisicone, venne picchiato a sangue fino a quando morì. Ciò che rimase del corpo di Rizzotto fu buttato in una foiba a Rocca Busambra.
Un tredicenne, Giuseppe Letizia, fu testimone di quel delitto. In ospedale, dove giunse delirante e in preda a una febbre alta, morì dopo essere stato "curato" con un'iniezione; fu il veleno ad ucciderlo, perché lo stesso ospedale era diretto dal capomafia di Corleone, nonché mandante dell'assassinio.
Le indagini sulla morte di Rizzotto furono condotte dal giovane carabiniere, poi diventato generale, Carlo Alberto dalla Chiesa. In un primo momento si riuscì a ritrovare il corpo del sindacalista. Ad essere arrestato fu Vincenzo Collura, il quale rivelò di aver preso parte al rapimento di Rizzotto in concorso con Luciano Liggio e la cui testimonianza rese possibile agli inquirenti rinvenire alcune tracce del sindacalista. Dopo poco tempo, Criscione e Collura ritrattarono la confessione e in sede di processo vennero assolti per insufficienza di prove.
L’omicidio di Placido Rizzotto aprì una lunga catena di sangue della mafia corleonese, che da lì, con una lunga scia di sangue, prese il potere di Cosa nostra palermitana. I corleonesi si contraddistinsero per la loro brutalità nel commettere gli omicidi. Come anche nell’omicidio di Rizzotto, i mafiosi volevano che del sindacalista non ne rimanesse più nulla, nemmeno il suo corpo. Ma dopo tantissimi anni la memoria e il coraggio del sindacalista resta vivo.

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