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di AMDuemila
Fondamentale contributo del pentito Francesco Squillaci. Si è autoaccusato di 13 delitti
Zuccaro: “Individuando gli autori si indeboliscono le mafie ai vertici”

E' partita poco più di due anni fa l’inchiesta “Thor”, coordinata dalla Dda di Catania, che oggi ha portato all'esecuzione dell'ordinanza cautelare emessa dal Gip per 23 indagati (5 erano in libertà e 18 erano già detenuti per altre cause, ndr). Tra questi ci sono Vincenzo e Vincenzo Salvatore Santapaola, di 64 e 51 anni, i figli dei capimafia Salvatore e Benedetto. Tutto ha avuto inizio con la collaborazione con la giustizia di Francesco Squillaci ("Martiddina"), affiliato alla potente famiglia dei Santapaola-Ercolano di Cosa nostra etnea.
Grazie alle sue dichiarazioni, corroborate da una notevole attività investigativa, è stato possibile far luce su 23 omicidi (tra cui un triplice omicidio, due duplici omicidi e 3 casi di "lupara bianca") commessi nelle guerre di mafia tra la fine degli anni '80 ed il settembre 2007. Tra i delitti al centro dell'inchiesta anche uno di 'pulizia interna' al clan: il duplice omicidio del boss Angelo Santapaola e del suo autista, Nicola Sedici, commesso il 26 settembre del 2017, per il quale è stato condannato all’ergastolo in via definitiva Enzo Aiello, l'allora reggente provinciale della 'famiglia'.
L'agguato, ha aggiunto adesso l'accusa, avrebbe avuto come mandante Salvatore Vincenzo Santapaola, figlio di Benedetto, che secondo la Procura era preoccupato dall'ingombrante presenza, dell'autonoma operatività e dei rapporti diretti e privilegiati del boss con Cosa nostra di Palermo.
Come esecutore materiale è accusato Orazio Magrì, mentre a Natale Filloramo è contestata la complicità nel duplice omicidio. Fatta chiarezza anche sul delitto di Francesco Lo Monaco, 20 anni, assassinato a Motta Sant'Anastasia il 7 giugno del 1994 perché ritenuto l'autore di una rapina commessa a un distributore di carburanti di proprietà del boss Marcello D'Agata, uomo d'onore di Cosa nostra.
Tra i casi di 'lupara bianca’, invece, è inserita la scomparsa, dal 10 luglio del 1991, di Salvatore Montauro: sarebbe stato ucciso in quanto ritenuto vicino al clan rivale dei Cappello e potenziale sicario di quel gruppo.
Tra le vittime anche persone 'estranee' alla Mafia come Salvatore Motta e Cirino Catalano uccisi il 10 aprile del 1991 a Lentini, nel Siracusano. L'obiettivo dei sicari, che agirono su richiesta del clan Nardo, era Salvatore Sambasile
Definita, inoltre, la vicenda che ha riguardato il delitto di Giuseppe Torre, assassinato dopo essere stato interrogato e torturato il 16 febbraio del 1992: ad ordinare l'omicidio fu il clan Pulvirenti del Malpassotu. Torre, figlio della compagna di Gaetano Nicotra dei 'tuppi', fu rapito da un finto commando di carabinieri a bordo di una lancia Thema perché il clan rivale voleva rintracciare Nicotra che si era reso irreperibile per eliminarlo. Ma il giovane Torre non sapeva dove si nascondeva il "patrigno" e così fu ucciso dopo atroci torture e in seguito il corpo venne dato alle fiamme.

op thor int zuccaro

Il procuratore della Repubblica di Catania, Carmelo Zuccaro


Le confessioni di Squillaci
Le dichiarazioni del pentito Squillaci, e di altri nove collaboratori di giustizia, si sono rivelate di primo livello ai fini dell’inchiesta. Squillaci infatti si è autoaccusato di 13 omicidi e anche di altri delitti (circa 50), alcuni dei quali 'eccellenti', che non fanno parte di questa inchiesta, come quelli del generale dei carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa, dell'ispettore di polizia Giovanni Lizzio per cui è stato condannato a 30 anni di reclusione e di cui si autoaccusa spiegando che "fu deciso da Nitto Santapaola a malincuore" e che "sarebbe stata una forzatura per fare contenti i Corleonesi", di Luigi Ilardo (l'infiltrato Oriente, ammazzato a Catania il 10 maggio 1996), degli imprenditori Vecchio e Rovetta dell'Acciaierie Sicilia. Racconta dei "festeggiamenti per la morte di Falcone" tra gli esponenti di Cosa nostra a Catania e di Nitto Santapaola che "invece non era felice, anzi era molto preoccupato e si diede latitante".
Squillaci ha inoltre confessato ai pm, come è stato riferito durante la conferenza stampa, che in un certo periodo “vi era un altissimo grado di infiltrazione mafiosa nelle istituzioni e di corruzione nelle forze dell'ordine". "Squillaci - hanno detto i magistrati - racconta come loro erano sempre a conoscenza dei blitz ed avevano il favore di numerosi poliziotti, carabinieri e soprattutto della Polizia Penitenziaria. Ha raccontato anche che il carcere di Bicocca era nelle loro mani e che obbligavano il comandante della Polizia Penitenziaria ad adempiere a tutte le loro richieste". I magistrati hanno anche ricordato la figura di un brigadiere della Polizia Penitenziaria di Bicocca ora in pensione che "ebbe la forza di opporsi a mafiosi che gli avevano chiesto un favore per un trasferimento offrendogli una grossa somma di denaro".
"Ha rischiato la vita - hanno aggiunto - e ha rifiutato in maniera sdegnata quei soldi in un periodo in cui la corruzione tra le forze dell'ordine era altissima". I magistrati in merito alle considerevoli rivelazioni fatte loro dal pentito hanno affermato che quello di Squillaci “è un caso particolare perché ha fatto già 25 anni di carcere e ha deciso di collaborare dopo un percorso molto lungo, permessi premio, collaborazioni con associazioni di vittime della Mafia, collaborazioni teatrali ed incontri per rinnegare il suo passato”.
“Il sistema rieducativo funziona?”, hanno chiesto sul punto i giornalisti. “Quando si parla di mafiosi - ha risposto il procuratore Carmelo Zuccaro - sono casi molto rari in cui funziona. Quello di Squillaci si può considerare uno di quelli".

Parola al procuratore
”Una risposta forte a numerosi omicidi che, seppur lontani nel tempo, sono particolarmente importanti perché rappresentano delle svolte significative nelle dinamiche delle lotte di potere anche all'interno dell'organizzazione mafiosa". E’ stato il commento del procuratore della Repubblica di Catania Carmelo Zuccaro in merito all'operazione Thor eseguita dai carabinieri del Ros della provincia.
”Molte delle persone che erano in carcere - ha aggiunto Zuccaro - non avevano ancora misure cautelari che riguardassero l'ipotesi di omicidio. L'omicidio non solo non si prescrive dal punto di vista giuridico. Individuare tutti gli autori degli omicidi anche a distanza di anni significa non solo eliminare la possibilità di reiterazione del reato ma anche indebolire nelle persone di vertice queste organizzazioni mafiose".

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