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di AMDuemila
Testimonianze caratterizzate dai tanti “non ricordo” sul trasferimento del prefetto Sodano

Nelle ultime udienze del processo d’Appello bis contro l’ex senatore Antonio “Tonino” D’Alì, parlamentare di Forza Italia dal 1994 al 2018, da anni sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa, anche per i suoi legami con la famiglia Messina Denaro, con l’allora Francesco Messina Denaro e suo figlio Matteo, ancora oggi latitante, sono stati chiamati a deporre importanti figure istituzionali come l’ex Ministro dell’Interno Beppe Pisanu, l’ex capo di gabinetto del ministro, Carlo Mosca, e l’ex presidente della Regione, Salvatore ‘Totò’ Cuffaro riguardo il trasferimento del prefetto Fulvio Sodano che, anche quando fu costretto dalla Sla a comunicare attraverso un computer a impulsi ottici, raccontò ai magistrati delle “pressioni di D’Alì”. L'ex partamentare, al tempo sottosegretario agli Interni del governo Berlusconi, dal 2001 al 2006, secondo l’accusa, avrebbe “determinato il trasferimento del prefetto, facendosi latore presso il Ministro dell’Interno delle istanze e degli interessi di Francesco Pace, Antonino Birrittella (poi divenuto collaboratore di giustizia) e, più in generale, della famiglia mafiosa di Trapani; e, prima ancora, di essere intervenuto in maniera conforme ai medesimi illeciti interessi presso il Prefetto, che perorava il conferimento di commesse alla Calcestruzzi Ericina”. A riportare la notizia è stato ieri il giornale “Il Fatto Quotidiano”. Il processo d'Appello si svolge a porte chiuse. Le udienze si sono caratterizzate dalle moltitudini di contraddizioni dei teste riguardo i motivi del trasferimento con ben tre versioni differenti e con tanti “non ricordo”. Per questo motivo, il presidente della corte Antonio Napoli è stato costretto a richiamare i testimoni “all’obbligo della verità processuale”.
Il trasferimento di Sodano da Trapani ad Agrigento fu convalidato dal Consiglio dei Ministri l’11 luglio 2003, nonostante un mese prima avesse ricevuto una conferma da parte del ministero dell’Interno, proprio per il suo ruolo nella lotta alla mafia del calcestruzzo. “Mi rivolsi al Presidente della Regione (Salvatore ‘Totò’ Cuffaro) chiedendogli di accertare il vero motivo del trasferimento, dopo qualche giorno lo stesso mi riferì che si era fatto ricevere da Pisanu il quale gli aveva detto che dopo aver resistito alle pressioni del D’Alì - raccontò Sodano il 19 aprile 2007 ai magistrati antimafia di Palermo - alla fine aveva dovuto cedere alle insistenze del sottosegretario che pur sempre era uno dei suoi più stretti collaboratori”. E poi aggiunse, che fu informato del trasferimento “nel tardo pomeriggio del giorno precedente alla convalida” attraverso una telefonata del prefetto Mosca.
Sulla vicenda, l’ex governatore, nell’ottobre 2007, durante un interrogatorio disse di non aver “mai riferito a Sodano in termini così perentori le frasi che l’ufficio mi legge, può essere accaduto tuttavia che nelle lunghe conversazioni avute con Sodano spesso incentrate su questo argomento, io abbia potuto suscitare in lui anche per ragioni umanamente comprensibili il convincimento”. Mentre lo scorso 16 ottobre ha detto cose diverse: “Pisanu mi disse che il prefetto era stato promosso, non trasferito, perché ritenevano, ecco, questo me lo ricordo adesso, che la prefettura di Agrigento fosse di grado superiore alla prefettura di Trapani, ricordo questo”. Una ricostruzione che collima con quella raccontata da Pisanu il 29 ottobre 2007 ai pm Roberto Scarpinato e Andrea Tarondo. Non solo. Anche Pisanu, davanti ai giudici del processo d’Appello Bis su D’Alì ha fatto delle dichiarazioni differenti. In passato disse che il trasferimento “fu anche un riconoscimento delle sue qualità professionali stante la necessità che si manifestava di gestire il difficile problema dell’immigrazione (la prefettura di Agrigento ha pertinenza su Lampedusa) particolarmente sentito in quel periodo”. Mentre al processo ha detto di “non ricordare”, così come “non ricordo di avere informato Cuffaro sul trasferimento di Sodano, durante il mio ministero non vi era la prassi di comunicare al Presidente della Regione la movimentazione dei prefetti”.
Il prefetto Carlo Mosca, il 7 febbraio 2007, disse di non aver “mai comunicato al prefetto Sodano le ragioni del suo spostamento, che intendo precisare risiedono esclusivamente in motivi di ordinario avvicendamento tra prefetti”. Mentre durante l’Appello bis ha riferito che “il movimento fu determinato dalle condizioni di salute del prefetto Sodano, che impedivano una presenza in prefettura costante e continua”. Su questo punto prima il Pg Domenico Gozzo ha detto che “non credo che ci sia prova che il prefetto Sodano già avesse dei problemi così incipienti, diciamo così, da non poter esercitare queste funzioni”. E il presidente ha spiegato che se “soffriva a Trapani e la soffriva ad Agrigento, diciamo non c’è una grande differenza”. Proprio per questo sia l’ex presidente della Regione Sicilia che l’ex ministro hanno spiegato che il trasferimento non ebbe come motivazione la salute di Sodano.
Nella vicenda, c’è da aggiungere un altro fatto, ovvero quando ebbe inizio il processo di primo grado, nel 2011, il Gup non aveva accettato i familiari di Sodano tra le parti civili, indicando il Ministero dell’Interno come parte offesa. Del resto il ministero non si costituì parte civile e Mosca durante il suo interrogatorio ha spiegato che “telefonai anche più volte al prefetto Sodano per manifestare la solidarietà di tutti i colleghi, anche recentemente all’Università la ‘Luiss’ durante la presentazione di un libro. Con il figlio del prefetto Sodano ci siamo scambiati anche testimonianze di amicizia”.
Quanto detto da Motta, però, è in contrasto con la ricostruzione di Andrea, figlio di Sodano di 27 anni, che ha frequentato un Master nell’università romana: “Quella era la prima volta che lo vedevo, all’epoca dei fatti avevo 11 anni e non l’avevo mai visto prima, l’amicizia è un’altra cosa, la nostra famiglia non ha mai ricevuto alcuna solidarietà e siamo stati da sempre isolati”.

Foto © Imagoeconomica

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