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di Aaron Pettinari
Dallo scorso marzo Vito Roberto Palazzolo, esponente di primo piano di Cosa nostra, è tornato in libertà, affidato ai servizi sociali, in una città del Nord Italia.
Considerato come il "re del riciclaggio" e "tesoriere", per conto dei boss corleonesi Totò Riina e Bernardo Provenzano, delle ingenti somme di denaro provenienti dai traffici di droga e dal contrabbando di sigarette è stato condannato nel 2009, in via definitiva, a nove anni di reclusione per associazione di stampo mafioso. E proprio al suo "tesoro" stanno mirando le indagini dei finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Palermo, coordinati dalla Dda della Procura di Palermo. Questa mattina, infatti, hanno eseguito un provvedimento di sequestro e congelamento di beni disposto dalla Corte Reale Civile del Regno di Thailandia dopo la rogatoria chiesta dalla Procura di Palermo. Si tratta di un deposito bancario intestato alla moglie, la ricca ereditiera di origine israeliana Tirtza Grunfeld, con un saldo attivo di diverse decine di migliaia di euro, allo stato in via di esatta e definitiva quantificazione (si parla di 45mila euro). Al di là della cifra, giustamente, si evidenzia lo spirito di collaborazione con l'autorità thailandese, chiamata a collaborare in questa indagine internazionale.
Quella Thailandia dove si era rifugiato per un certo periodo e dove venne arrestato a Bangkok il 30 marzo 2012, dopo una latitanza di oltre vent'anni, prima di essere estradato un anno dopo.
Il suo è uno di quei nomi che pesa all'interno di Cosa nostra. Protagonista indiscusso dell’eclatante traffico internazionale di sostanze stupefacenti, svoltosi nei primi anni Ottanta tra la Sicilia, l’Estremo Oriente e gli Stati Uniti, più noto con il nome di “Pizza Connection”, le cui indagini erano coordinate dal Giudice Giovanni Falcone e dal Procuratore Distrettuale di New York Rudolph Giuliani.
Nel 1984, su richiesta dell’Autorità Giudiziaria italiana, venne tratto in arresto in Svizzera e temendo di essere giudicato dall’Autorità Giudiziaria Italiana, in attesa dell’estradizione, confessò alle Autorità Svizzere le sue relazioni con i principali protagonisti del traffico di sostanze stupefacenti.
Proprio per i fatti della "Pizza Connection" venne condannato nel 2000, in primo grado, alla pena di 12 anni di reclusione. Una sentenza poi revocata, in appello, per l’applicazione del principio del "ne bis in idem" internazionale, proprio in considerazione dell’esistenza del giudicato elvetico che lo aveva condannato a tre anni di reclusione per il concorso nel traffico internazionale di stupefacenti e riciclaggio.
Sfruttando un permesso concessogli dalle Autorità Carcerarie Elvetiche e grazie ad un falso passaporto svizzero, era riuscito a nascondersi in Sudafrica, assumendo l'identità falsa di Robert Von Palace Kolbatschenko ed ottenendo "protezione" dalle autorità sudafricane che più volte hanno rigettato la richiesta di estradizione che veniva presentata da quelle italiane. Secondo le stime degli investigatori nel Continente africano Palazzolo è riuscito ad accumulare un vero tesoro affinando le sue grandi doti imprenditoriali e mettendo a sistema le sue capacità di finanziere internazionale e, grazie anche a importanti appoggi in quel Paese, iniziava ad investire nel settore immobiliare e in numerose attività commerciali, estendendo i propri interessi anche in territori limitrofi, quali la Namibia e l’Angola.
Certo è che Vito Roberto Palazzolo è uno che conosce tanti segreti. Come aveva già fatto nel 1984, pur non considerandosi un collaboratore di giustizia, anche dopo l'estradizione del 2013 si è lasciato andare ad alcune dichiarazioni messe a verbale dai pm di Palermo e dall'Fbi. “Per potermi difendere dall’accusa di essere un mafioso devo raccontare chi sono e cosa ho fatto nella mia vita di finanziere” avrebbe detto al tempo ai pm. E in tante parole mai una è stata riferita sul suo immenso "tesoro". Eppure se parlasse a tremare non sarebbero solo i capimafia, ma anche tanti colletti bianchi che a quel "mondo" erano vicini.

Foto © Ansa

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