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Fu indotto a dire il falso dal gruppo d'indagine della strage di via d'Amelio

Fu lo Stato ad avermi “fatto mafioso”, assicura Vincenzo Scarantino nell'intervista al Fatto Quotidiano, parlando di come e quando fu indotto a riportare fin nelle aule del tribunale una falsa ricostruzione sulla strage di via d'Amelio. Oggi il falso pentito del processo Borsellino quater (il cui reato di calunnia è stato dichiarato prescritto in quanto riconosciuta l'“induzione”) conferma che furono in primis l'ex capo del gruppo investigativo Falcone-Borsellino Arnaldo La Barbera – deceduto – e i poliziotti Bo e Ricciardi – il primo nuovamente indagato per calunnia, il secondo indagato e successivamente archiviato – a “combinarlo” nel giugno 1994, quando inizia la sua “collaborazione”. “Sono stato 'combinato' da poliziotti – dice l'ex picciotto della Guadagna – La Barbera che era il mio padrino, da Bo e da Riccardi”. Quindi rievoca il periodo trascorso al carcere di Pianosa, dove “mi hanno riempito di bastonate. Nel cibo mi mettevano i vermi da terra, le mosche” fino ad arrivare a perdere 50 chili. “Sulla strage io non sapevo niente. – ribadisce – Niente di niente, non sapevo neanche dove era via D’Amelio”. “A La Barbera gli dicevo che non sapevo niente, ma loro mi spiegarono che dalle loro indagini risultavano alcuni soggetti che mi indicavano in foto e io iniziai a dire sì e confermare quello che loro volevano che confermassi”. Secondo Scarantino, a un certo punto “il cervello diventa come la carta: fragile”. Fu così che, aggiunge, “ho ceduto a fare l’infame”, tanto che “a un certo punto credevo veramente di aver ucciso Borsellino”. E ancora: “Io andavo ai colloqui piangendo, non sopportavo Pianosa”.
Parlando di La Barbera, Scarantino riferisce che l'ex capo del gruppo d'indagine “aveva carta bianca” persino “coi magistrati”, tanto che “se andavo dal magistrato a dire 'non so niente', mi ammazzavano”. In un confronto con il gruppo Falcone-Borsellino, prosegue, “un magistrato e i poliziotti mi dissero 'tranquillo' nessun pentito potrà smentirti”.
Ma secondo Scarantino, oltre al gruppo Falcone-Borsellino, a dover pagare sono anche “i garanti”, vale a dire “chi gli ha dato carta bianca” perché “tutti sapevano che era una farsa”. E se la mafia che “vuole eliminarti, ti spara in testa”, è la sua considerazione, lo Stato invece “fa come i polli alla brace che si devono cuocere lentamente”. “Non smetterò mai di chiedere scusa” conclude Scarantino, agli innocenti che ha accusato, perché “ho rovinato la mia vita e la loro”.
Secondo la sentenza del processo Borsellino quater, Scarantino ha effettuato la calunnia perché "determinato a commettere il reato" dagli apparati di Polizia. Calogero Montante, legale difensore del falso pentito, ha già annunciato che farà ricorso per puntare all'assoluzione. Le motivazioni dei giudici, che evidenziano “zone d'ombra” e “incongruenze” sulla bomba che uccise Paolo Borsellino insieme agli agenti di scorta Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, attestano nero su bianco che “le dichiarazioni di Vincenzo Scarantinosono state al centro di uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”, facendo quindi riferimento “ad alcune emergenze che dimostrano il coinvolgimento diretto del Sisde, al di fuori di qualsivoglia logica e regola processuale, nelle prime indagini sulla strage di via D’Amelio, orientate verso la falsa pista di Vincenzo Scarantino”. Oggi c'è un nuovo processo dove ad essere imputati sono proprio tre poliziotti del gruppo investigativo guidato da La Barbera.

In foto: Vincenzo Scarantino in uno scatto di repertorio

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