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All'interno della famiglia mafiosa di Monreale era pronto un nuovo "Papa". E' così che i mafiosi di San Giuseppe Jato chiamavano il futuro capo mandamento. In prospettiva questi doveva essere Sergio Damiani, panettiere in carcere per una condanna per mafia e non si aspettava altro che uscisse di cella per consegnargli lo scettro del mandamento. Era dicembre del 2015. Oggi a Damiani, in carcere, è stato notificato un altro ordine di custodia cautelare nell'ambito dell'operazione antimafia "Nuovo papa" che questa mattina ha portato all'arresto di sei persone, su disposizione del Gip. Un'inchiesta, portata avanti dal 2016 fino all'estate del 2017, condotta dai carabinieri del nucleo investigativo del Gruppo di Monreale coordinati dalla Dda di Palermo, che riparte dalle indagini precedenti (“Quattropuntozero” e “Montereale”) che già tra marzo e ottobre 2016, avevano portato agli arresti di diversi esponenti apicali del mandamento di San Giuseppe Jato. Le accuse sono, a vario titolo, di associazione mafiosa e estorsione aggravata.
Dalle indagini è emersa la volontà di riorganizzazione della consorteria. In un primo momento Damiani che era tornato libero a Monreale rifiutò. Solo dopo la richiesta dei vertici di Cosa Nostra, tra cui il barbiere Antonino Alamia, cassiere della famiglia, accettò di guidare il mandamento. Un ruolo che già avevano ricoperto lo zio, Settimo Damiani, e il padre Salvatore Damiani, morto impiccato nel 2002 nella cella del carcere di Spoleto dove stava scontando una pena per mafia. Sergio, dal dicembre del 2015 alla fine del 2016, prese così le redini della famiglia mafiosa. Un'investitura a tutti gli effetti che i carabinieri hanno sentito in diretta. Salvatore Lupo parlando con uno deigli uomini di Cosa nostra disse: "Nuovo Papa... nuovo Papa a chi mettono? ... Non hanno nessuno, forse non lo hai capito. L'unico Papa che poteva essere con loro sai chi era? Sergio!". Damiani era ben voluto da tutti sia dai monrealesi che dagli uomini di San Giuseppe Jato come Ignazio Bruno. Il nuovo capo catechizzava tutti gli affiliati. Dovevano tenersi lontani da cellulari e parlare mai in luoghi chiusi e in macchina. Damiani non ha mai avuto un cellulare. I suoi ordini li dava mentre faceva la spesa nei grandi supermercati di Corso Calatafimi a Palermo. Era tra i carrelli e nelle vie attorno che i carabinieri del Gruppo di Monreale lo hanno seguito. Addirittura, in alcune occasioni, anche i militari sono entrati con i carrelli e hanno fatto finta di acquistare merce per tenere sottocchio il capo che non si fidava della tecnologia. Il nuovo "Papa" restò in carica fino al 2016 quando fu emessa la sentenza d'appello e tornò in carcere dove si trova rinchiuso.
Dalle indagini è emerso anche il ruolo di tutto rilievo assunto da Antonino Sciortino che, per la sua caratura criminale (già comprovata da una pregressa detenzione nel febbraio del 2002 per fatti di criminalità organizzata di stampo mafioso), è stato materialmente “affiliato” alla famiglia di Monreale con l’avallo dei vertici mandamentali di San Giuseppe Jato, manifestato con una formale autorizzazione da parte di Girolamo Spina.
Sciortino, assieme a Salvatore Billetta, aveva un compito all'interno della famiglia mafiosa, nell'individuazione delle attività edilizie da assoggettare al pagamento delle estorsioni. Attività che comunque vengono mantenute per garantire il sostentamento della consorteria. I militari hanno documentato richieste estorsive nei confronti di due imprenditori edili locali costretti a versare cospicue somme di denaro per ogni nuovo appartamento da loro realizzato, nonché ad affidare a ditte “gradite” al sodalizio i lavori per la realizzazione degli impianti elettrici e idraulici negli immobili in costruzione.

Foto © Imagoeconomica

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