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rostagno mauro sorriso 500di Miriam Cuccu
Attesa per oggi la sentenza del processo di secondo grado sull'omicidio di Mauro Rostagno, giornalista assassinato da Cosa nostra il 26 settembre 1988, nelle campagne di Lenzi (Trapani). Durante l'udienza è prevista la conclusione dell'avvocato Vito Galluffo - legale difensore dell'imputato Michele Mazzara - poi l'ultima parola spetterà alla Corte d'Appello di Palermo presieduta da Matteo Frasca, a latere Roberto Murgia.
Nelle scorse udienze i giudici avevano ascoltato la requisitoria dei pg Umberto De Giglio e Domenico Gozzo, seguite dalle parti civili e dalle difese degli imputati: il boss Vincenzo Virga e Michele Mazzara, entrambi condannati al processo di primo grado rispettivamente come mandante ed esecutore del delitto. Proprio in corso di requisitoria i pg avevano chiesto la conferma delle due condanne emesse in primo grado. “L’omicidio di Mauro Rostagno - scrivevano i giudici - era volto a stroncare una voce libera e indipendente, che denunziava il malaffare, ed esortava i cittadini trapanesi a liberarsi della tirannia del potere mafioso, era un monito per chiunque volesse seguirne l’esempio o raccoglierne l’appello, soprattutto in un'area come quella del trapanese dove un ammaestramento del genere poteva impressionare molti”. Rostagno, infatti, con i suoi servizi televisivi gettava luce sugli affari occulti della Trapani degli anni Ottanta, fatta di intrecci tra mafia, politica e massoneria.
Il nome di Virga è stato fatto da diversi collaboratori di giustizia: Giovanni Brusca, Vincenzo Sinacori, Angelo Siino hanno riferito dell'ordine di uccidere Rostagno trasmesso da Ciccio Messina Denaro, capomafia trapanese, a Vincenzo Virga durante un incontro in un oleificio di Castelvetrano. Per Mazzara, invece, a parlare è stata la perizia che attesta il ritrovamento del suo dna sul fucile usato nell'agguato nei pressi della comunità “Saman”, centro terapeutico di recupero per tossicodipendenti fondata dallo stesso Rostagno. I periti della Corte di Assise di Trapani, Paola De Simone, Elena Carra e Silvano Presciuttini, hanno individuato le tracce riconducibili all'imputato insieme a quelle di uno sconosciuto, con lo stesso codice genetico di Mazzara.
La difesa aveva tentato di far riaprire l’istruttoria dibattimentale e di produrre una nuova perizia sul dna, richiesta che però non è stata accolta dai giudici d’Appello.
Secondo la Corte d’assise per l’omicidio Rostagno vi è stata “la soppressione o dispersione di reperti, la manipolazione delle prove e reiterai atti di oggettivo depistaggio”. I pg Gozzo e De Giglio, davanti ai giudici d’appello, hanno sottolineato come quei depistaggi siano una caratteristica di quei delitti commessi contro chi dava fastidio a Cosa nostra. E Rostagno, di grattacapi alla mafia trapanese, ne aveva dato parecchi. “Davano fastidio quegli editoriali su Rtc - è ancora la sentenza di primo grado - così come il suo lavoro d'inchiesta ‘sommerso’, come rivelato da alcuni suoi appunti, sulla massoneria deviata ed il ‘Circolo Scontrino’”. Giornalista poliedrico e sociologo, origini torinesi e uomo “dalle molte vite”, prima di arrivare a Trapani Rostagno aveva trascorso un periodo in India presso una comunità sotto la guida spirituale di Osho. Precedentemente, aveva preso parte al movimento studentesco nel Sessantotto a Trento alla militanza in Lotta Continua, da lui abbandonata prima che sfociasse nella lotta armata. “Io sono più trapanese di voi, perché ho scelto di esserlo”, amava dire di sé, mentre con il suo giornalismo denunciava le connivenze criminali della città.

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