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ciaccio montalto giangiacomodi Miriam Cuccu
Una guerra che dovrebbe essere “di Stato”, troppo spesso ricade sulle spalle di pochi. Lo sa bene il magistrato antimafia Giangiacomo Ciaccio Montalto che, intervistato il 15 ottobre 1982 da TG2 dossier, spiega con lucida consapevolezza che ciò che sembra una “guerra privata” contro i clan mafiosi “in realtà è una guerra pubblica. Ma siccome siamo in pochi, pochi che ce ne possiamo occupare, pochi che abbiamo determinate conoscenze, la cosiddetta memoria storica, e privi di determinati mezzi, va a finire che le nostre conoscenze... finiscono col diventare un patrimonio personale... Tutto ciò finisce per individualizzare la lotta al fenomeno mafioso”. Da quell'intervista, in cui denuncia senza mezzi termini le difficoltà regolarmente riscontrate nelle sue inchieste, specie quando passavano al setaccio i circuiti bancari, Cosa nostra lascia passare ancora pochi mesi, e il 25 gennaio 1983 Montalto viene crivellato di colpi nei pressi della sua abitazione di Valderice, ancora all’interno della sua vettura. Da qualche tempo, per motivi di sicurezza, il magistrato aveva deciso di far trasferire altrove la moglie e le tre figlie. Nessuno, però, udendo gli spari, diede l'allarme, e il corpo viene ritrovato soltanto la mattina successiva, segnalato da un pastore. “Pensavamo fossero i cacciatori di frodo”, dicono i vicini di quel magistrato che si era messo in testa di combattere la mafia a colpi di indagini patrimoniali e bancarie. La stessa strada poi percorsa da Giovanni Falcone e da tutto lo storico pool antimafia di Palermo.
Da una parte filoni investigativi che puntano dritto al cuore criminale ed economico delle famiglie mafiose trapanesi, dall'altra il sinistro isolamento che ha marchiato a fuoco i 12 anni vissuti alla Procura di Trapani. Ce n'è abbastanza per fare sì che Giangiacomo Ciaccio Montalto – magistrato tutto casa e lavoro che sistematicamente evitava la Trapani bene – diventasse uno dei nemici numero uno di Cosa nostra. Già dalla seconda parte degli anni Settanta, Ciaccio Montalto – nato a Milano da genitori trapanesi – mette gli assetti mafiosi locali sotto la lente di ingrandimento, andando a colpire gli interessi dei clan e scandagliando le alleanze tra Cosa nostra e il tessuto politico ed imprenditoriale. Le numerose indagini su banchieri, funzionari dello Stato e politici, continuano però ad arenarsi, gli imputati sistematicamente prosciolti.
A Trapani, Ciaccio Montalto inizia ad indagare anche sulla cosca Minore, che proprio in quegli anni stringe un'alleanza con i corleonesi di Totò Riina. Proprio per questo il magistrato fa riesumare il cadavere di Giovanni Minore. Sul suo conto si diceva che fosse morto d’infarto, cosa di cui il giudice nutriva diversi dubbi. Tra le altre indagini, anche quella sulle distrazioni di denaro legate alla ricostruzione post terremoto del Belice.
Nel 1982 la maxi retata: il sostituto procuratore emette circa quaranta ordini di cattura, sempre contro la cosca Minore. Il blitz, però, si conclude con il proscioglimento di tutti gli arrestati. È qui che Montalto si infuria con Antonio Costa, pm che aveva accettato 50 milioni di lire dai Minore in cambio di un ammorbidimento delle sue richieste nel processo contro la famiglia mafiosa. Costa, successivamente, finirà in carcere per corruzione e detenzione abusiva di armi.
Deluso, amareggiato e stanco di combattere in un clima di totale isolamento, all'inizio degli anni '80 Ciaccio Montalto guarda a Firenze come prossima sede per proseguire la sua attività di contrasto a Cosa nostra. È lì, infatti, che i magistrati Pierluigi Vigna e Rosario Minna, con i quali era in ottimi rapporti, stanno seguendo indagini delicate. Da tempo il capoluogo toscano “ospitava” una costola dei gruppi mafiosi siciliani – e trapanesi – che spesso si trovavano lì al soggiorno obbligato. Dalle sue ultime indagini Ciaccio Montalto aveva già intuito che la mafia trapanese stava mettendo le mani sul business della droga, e che Cosa nostra fosse intenzionata ad allargare il suo raggio d'azione in Toscana. Anche per questo il magistrato decide di fare domanda per il trasferimento a Firenze.
I segnali che il suo tempo sta per scadere, si fanno però più pressanti. Qualche mese prima dell'attentato Montalto trova una croce nera disegnata con la bomboletta spray sul cofano della sua golf. Ma la vera condanna a morte la pronuncia il boss Mariano Agate a fine anno 1982, quando, in carcere, annuncia: “Ciaccinu arrivau a stazione”. Proprio Agate, insieme al boss Totò Riina, verrà poi condannato in qualità di mandante dell'omicidio del sostituto procuratore. In occasione del trentacinquesimo anniversario, il Csm ha disposto la desecretazione e la pubblicazione degli atti contenuti nel fascicolo personale del magistrato. Affinchè questo magistrato tutto d’un pezzo non venga dimenticato.

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