Al processo sull’omicidio dell'avvocato depone il medico legale
di AMDuemila
“Quanti furono i colpi contro Fragalà? Non sono in grado di precisare ma le ferite erano tante, quasi tutte sul lato sinistro del corpo. L’arma usata per uccidere? Di legno, di metallo o di plastica: era certamente un corpo contundente molto duro, usato da una persona molto forte, viste le fratture del cranio. La sezione si può desumere dall’impronta ‘a stampo’ lasciata sulla tibia della vittima. La valutazione delle dimensioni è giocoforza approssimativa: possiamo dire non meno di due centimetri di larghezza, almeno 21 di lunghezza”. A rispondere alle domande dei pm Caterina Malagoli e Francesca Mazzocco è Paolo Procaccianti, medico legale che eseguì l’autopsia sul penalista Enzo Fragalà massacrato di botte la sera del 23 febbraio 2010 e poi deceduto tre giorni dopo. Una violenza così brutale da fratturare con un colpo solo la tibia, un osso che lo stesso medico evidenzia essere “molto duro e resistente”. E’ possibile che proprio il colpo alle gambe abbia provocato l’atterramento delle gambe. E poi i colpi al corpo e alla testa. Le fratture delle mani, probabilmente, causate mentre lo stesso Fragalà cercava di difendersi. A salire sul pretorio, oltre al medico legale, anche il colonnello che coordinò le indagini, Antonio Coppola e Claudio Crapa, teste oculare di quell’aggressione.
Si trovava lì quasi per caso mentre era a passeggio con il proprio cane. “Era un uomo, uno solo - ha riferito al collegio presieduto da Sergio Gulotta, a latere Monica Sammartino - Era alto più di me, circa 1,85, mi sembrò impostato, aveva un bomberanno chiuso sino al collo”. “Fui attirato dal rumore dei colpi inferti con un bastone che a me sembrò di legno - ha aggiunto - il piede di un tavolo o qualcosa di simile, tondo o squadrato, sinceramente non so dirlo”. Crapa ha poi raccontato della paura avuta: “Temevo che colpisse anche me, invece lo vidi andare via a passo svelto, verso la parte bassa di via Turrisi. Sentii il legno che cadeva ma non so se sia stato subito dopo l’aggressione o durante la fuga”. Infine c’è stata la testimonianza di Coppola, ex comandante del Nucleo investigativo, oggi in servizio alla Dia di Roma. Secondo il colonnello il delitto sarebbe stato un favore che il gruppo di Porta Nuova fa a quello di Pagliarelli, in particolare al boss Nino Rotolo. Il penalista avrebbe “sfidato” il capomafia leggendo in aula una lettera di sua moglie.