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scarpinato 2 c emanuele di stefanoDalla strage di Falcone al progetto di attentato a Di Matteo
di AMDuemila
Dalle "zone d'ombra" sulla strage di Capaci agli "eventi recenti" che sembrano indicare che non si tratta di "una tragica storia del passato". E' il panorama disegnato da Roberto Scarpinato, procuratore generale di Palermo, intervistato per il Fatto Quotidiano da Marco Travaglio. Zone d'ombra, ha riferito il magistrato, che restano "impermeabili alle indagini" e che fanno ritenere che le stragi del '92 e '93 furono "frutto di una convergenza di interessi tra la mafia e altre forze criminali". Questo perché, ha evidenziato, insieme ai boss di Cosa nostra "si mossero altre forze che utilizzarono la mafia come braccio armato" e "come causale di copertura per i loro sofisticati disegni finalizzati a destabilizzare la politica". Una "convergenza di interessi criminali" anticipata sia da Elio Ciolini - neofascista e infiltrato in diversi ambienti che, quattro giorni prima dell’omicidio Lima, inviò una lettera in cui prefigurava l’avvento di un piano per destabilizzare il Paese - sia dall'agenzia di stampa "Repubblica", vicina ai servizi, che aveva annunciato un "botto esterno" che "avrebbe sparigliato i giochi di potere in corso per la elezione del nuovo presidente della Repubblica" come in effetti accadde quando, all'indomani della strage di Capaci, invece di Giulio Andreotti fu nominato Capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro.
All'interno di Cosa nostra, ha spiegato Scarpinato, fu fatto credere che "il progetto politico che stava dietro le stragi" era necessario solo "a scopi interni alla mafia" mentre invece dietro "si celavano menti raffinatissime e soggetti esterni" ancora oggi senza volto né nome. Ad esempio quei personaggi che ispezionarono "i file del computer di Falcone" o diedero a Cosa nostra "informazioni logiche indispensabili" per predisporre l'attentato all'Addaura nel 1989, poi fallito.
Dopo Capaci, via d'Amelio, ma restano i buchi neri sull'"agenda rossa di Paolo Borsellino trafugata" e sugli "altri" che, secondo le confidenze fatte da Borsellino alla moglie Agnese, volevano la sua morte, anche se sarebbe stata la mafia ad eliminarlo. O sul misterioso "personaggio non appartenente alla mafia" che "assistette alle operazioni di caricamento dell'esplosivo nell'autovettura" utilizzata per la strage. "Chi conosce le regole della mafia - ha commentato Scarpinato - sa bene che tenere segreta a uomini d’onore l’identità degli altri compartecipi alla fase esecutiva di una strage è un’anomalia evidentissima: la prova dell’esistenza di un livello superiore che deve restare noto solo a pochi capi". Una circostanza destinata a ripetersi: "Alcuni eventi recenti, ancora in corso di verifica processuale, - ha proseguito Scarpinato - sembrano dimostrare che purtroppo questa non è solo una tragica storia del passato. Per esempio le recenti rivelazioni del collaboratore di giustizia Vito Galatolo" sul progetto di un attentato al pm Di Matteo, per il quale il pentito e gli altri boss "erano rimasti colpiti dal fatto che l’identità dell’artificiere messo a disposizione da Messina Denaro, doveva restare ignota a tutti, compresi i capi di Cosa Nostra".
Intanto le domande sulle stragi, 25 anni dopo, restano, senza che i magistrati riescano a ricostruire una verità completa: "E come si fa quando vengono sottratti ai magistrati documenti decisivi per l’accertamento di retroscena occulti?", ha detto Scarpinato, riferendosi "alle carte di Falcone", "all'agenda di Borsellino", o "alla miniera di tracce documentali custodita nella villa di via Bernini a Palermo", dove si impedì "ai magistrati di perquisire l’abitazione di Riina immediatamente dopo il suo arresto", scattato il 15 gennaio '93.
Su questi fatti, ha riflettuto il magistrato, "tacciono ancora tanti boss che sanno tutto" così come si autocensurano "alcuni collaboratori di giustizia" che "danno l'impressione di sapere molto più di quel che dicono". Ma il silenzio più assordante, ha aggiunto, è quello "di alcuni esponenti delle istituzioni" e la loro "amnesia generalizzata".

Foto © Emanuele Di Stefano

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