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“C’era un lavorante che lavorava al terzo piano sinistro, che questo ragazzo fa parte di Cardillo, che si mandavano bigliettini…”. Sono le dichiarazioni del pentito Francesco Chiarello (si legge sul Giornale di Sicilia) ed il riferimento è ad un uomo, probabilmente un carcerato, che avrebbe consentito lo scambio di “pizzini” in carcere tra Francesco Arcuri e Salvatore Ingrassia, arrestati pochi giorni fa per l’omicidio dell’avvocato Enzo Fragalà (in foto), assassinato da Cosa nostra il 23 febbraio 2010.
Secondo il collaboratore di giustizia lo scambio di bigliettini sarebbe avvenuto al carcere di Pagliarelli. Ora i carabinieri stanno cercando di risalire all’identità del “postino”, che a dire del pentito avrebbe fatto sapere a Ingrassia “di tenirinni chiusi, non parlare nelle celle, perché siamo rovinati, di non fare il suo nome”. Dalle parole di Chiarello è inoltre emerso come le spese legali di Arcuri sarebbero state coperte dal boss Giuseppe Di Giacomo, capomandamento di Porta Nuova assassinato a marzo 2014. Il capomafia avrebbe infatti versato 13 mila euro al suo avvocato difensore, mentre Ingrassia e Antonino Siragusa (ugualmente arrestato per la morte di Fragalà) avrebbero dovuto pensare da soli alle spese legali, cosa che avrebbe provocato degli attriti al punto che sarebbe emerso il sospetto che uno dei due potesse collaborare con la giustizia.
Chiarello ha raccontato di essere stato il depositario di alcune confidenze da parte di Marcello Di Giacomo, fratello di Giuseppe, sempre al Pagliarelli. “Che cosa dice Marcello? Che ‘nfino a che era vivo Giuseppe, il giorno prima, gli ha portato l’ultimi soldi, totali erano 13 mila euro, all’avvocato che difendeva Arcuri”. In seguito, quando Ingrassia viene a sapere del versamento di denaro, ha detto ancora il pentito, “Totò (Ingrassia, ndr) dice: ‘Viri che su crastazzi! Chiddu per dire ca un partecipò – dato che Arcuri avrebbe pianificato il pestaggio di Fragalà, senza tuttavia prenderne parte, ndra dargli colpi di legno ci pagano l’avvocato e nuatri ca arrischiamo un nni nni vuonnu paare nuddu avvocato?’”. “Me frati ci u pagò. Ingrassia muto”, avrebbe replicato Di Giacomo, da parte sua. In seguito, ha proseguito ancora Chiarello, Ingrassia avrebbe riferito dell’accaduto a Siragusa, che avrebbe detto: “Speramo ca i cuose vanno buone, ma se i cose vanno male poi riremu tutti”, cosa che avrebbe portato Ingrassia a commentare con Chiarello: “Chistu mi rovina a mia, chistu si pente”.
C’è poi un’intercettazione, risalente al 2013, dove nel carcere di Parma i due Di Giacomo parlano del legale di Arcuri. L’avvocato avrebbe detto all’assistito, raccontava Giuseppe Di Giacomo, che “‘se tu mi dici la verità io ti aiuto meglio’, lui l’ha preso e l’ha tirato fuori” dicendo “‘esci da qua e gli dici a chi ti ha detto di venirmi a dire queste cose che non ho niente di parlare’”. Per questo i due boss commentavano che Arcuri “si deve prendere uno bravo” perché, affermava Giuseppe Di Giacomo, “sai quanti ce ne sono di avvocati, minchia sono proprio quattro carabinieri”, sottolineando qual era la considerazione che Cosa nostra nutriva per gli avvocati.

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