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fragala enzo2di AMDuemila - Video
L'omicidio Fragalà fu un delitto di mafia: è questa la tesi della procura di Palermo, che ha chiesto e ottenuto il fermo di 6 persone accusate della morte del penalista palermitano Enzo Fragalà, aggredito a due passi dal suo studio a febbraio del 2010, nel centro della città e morto 3 giorni dopo il ricovero in ospedale. Il procuratore Francesco Lo Voi sta illustrando i particolari dell’indagine. Le attività investigative, coordinate dalla Procura distrettuale di Palermo diretta dal procuratore Francesco Lo Voi - coadiuvato dai magistrati Agueci, Scalia, Malagoli, Mazzocco e Di Matteo, - ed eseguite dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Palermo, sono state riaperte a seguito di nuove intercettazioni e collaborazioni.
Il penalista palermitano venne aggredito a bastonate all'uscita dal suo studio legale il 23 febbraio 2010. Le sue condizioni apparsero subito estremamente gravi. Prima i sicari gli spezzarono le gambe e lo fecero cadere a terra, poi si accanirono contro di lui con diversi colpi alla testa. Il decesso avvenne dopo tre giorni di coma.



Secondo la procura il mandante dell'omicidio fu il boss Francesco Arcuri, del mandamento di Porta Nuova. Ad eseguirlo furono invece Paolo Cocco e Francesco Castronovo. Tutti e tre al momento dell'arresto erano liberi. Il delitto fu pianificato dai mafiosi del Borgo Vecchio Antonino Abate, Salvatore Ingrassia e dal capomafia di Resuttana Antonio Siragusa. I tre, detenuti per altro, furono precedentemente indagati e arrestati per l'omicidio, ma in seguito scarcerati. Nella prima indagine, chiusa con un'archiviazione, era già emerso il coinvolgimento di Cosa nostra nel delitto, ma il movente, poi rivelatosi falso, venne individuato in presunte avances fatte da Fragalà alla moglie di un detenuto vicino alla mafia. Pista sostenuta anche da una collaboratrice di giustizia, che, però, secondo gli inquirenti, avrebbe riferito voci messe in giro da Cosa nostra per allontanare da sé i sospetti.
A luglio 2013 e gennaio 2014, invece, nel carcere di Parma furono intercettati due colloqui tra l’allora reggente del mandamento di Porta Nuova, Giuseppe Di Giacomo, e il fratello ergastolano Giovanni. Durante le conversazioni emerse chiaramente come i due mafiosi fossero a conoscenza che gli autori dell’omicidio dell’Avvocato Fragalà erano affiliati al mandamento mafioso di Palermo Porta Nuova e, in particolare, alla famiglia mafiosa di Borgo Vecchio.
Ad aprile 2015, quando poi si pentì Francesco Chiarello, affiliato alla famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, dichiarò di essere a conoscenza delle modalità esecutive dell’omicidio Fragalà, confermando che gli autori dell’agguato erano stati Arcuri, Abbate, Siragusa e Ingrassia. Inoltre, specificò che all’esecuzione del delitto avevano partecipato due ulteriori soggetti mai emersi nella precedente attività di indagine: Cocco, genero di Ingrassia, e Castronovo. Le accuse di Chiarello furono sostenute da elementi di riscontro, in particolare dall’intercettazione in cui Cocco confessava alla moglie di aver partecipato all’omicidio, e l'episodio risalente a quando, dopo aver trovato una microspia installata all’interno della sua abitazione, l’uomo rassicurava Domenico Tantillo, in quel momento rappresentante della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, di non aver mai parlato in casa sua di un omicidio in cui erano coinvolti sia lui che il suocero Ingrassia. Castronovo, inoltre, fu intercettato mentre, parlando dell’omicidio, riferì alla cugina che fino a quel momento se l’era “scansata”. Lo stesso Chiarello dichiarò che l’ordine di aggredire Fragalà era stato impartito perché “…chistu era ‘un curnutu e sbirru” e “doveva parlare più poco”, “non ci toccate se, né soldi e se ha oggetti, perché lui deve capire che non è una rapina, deve capire che deve parlare poco”.
"Sia per le modalità esecutive che per le finalità, come ha anche riconosciuto il gip, possiamo dire che il delitto Fragalà è un omicidio di mafia che doveva costituire un segnale all'intera classe forense” ha commentato in conferenza stampa il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, mentre il comandante provinciale dell'arma Antonio Di Stasio ha spiegato come che il fatto che Fragalà avesse convinto alcuni clienti ad assumere un atteggiamento di apertura nei confronti degli inquirenti "non era piaciuta alla mafia".

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