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polizia web15In aggiornamento!
di AMDuemila
Controllavano le piazze di spaccio: 31 ordinanze e sequestri di società

Colpo ai vertici del clan catanese dei Cappello-Bonaccorso: la polizia di Stato ha eseguito 31 arresti nei confronti di presunti appartenenti alla famiglia mafiosa. L’inchiesta è coordinata dalla Dda della locale Procura, l'operazione eseguita dalla Squadra Mobile di Catania e dal Servizio Centrale Operativo. L'ordinanza cautelare è stata emessa dal Gip, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia della Procura di Catania.
Tra le attività illecite del gruppo criminale anche il traffico di droga, grazie al controllo di diverse piazze di spaccio nei rioni di San Cristoforo e Librino ed in diversi comuni del catanese, estesi in due paesi etnei grazie a collaboratori locali di fiducia. Sono in corso anche sequestri in Sicilia, Calabria e Campania, ai danni di numerose società operanti nel settore della raccolta rifiuti, per la gestione di bar, ristoranti e pizzerie nel settore dell’abbigliamento. I provvedimenti restrittivi e i sequestri di beni, dal valore complessivo di 10 milioni di euro, sono stati eseguiti da 300 agenti della polizia di Stato.
Contestati, a vario titolo, i reati contestati di associazione mafiosa, traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e spaccio di droga, estorsione, esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone e intestazione fittizia di beni, aggravati dall'avere favorito la mafia.
La cosca si era specializzata in attività di recupero crediti per commercianti e imprenditori: una percentuale dei soldi incassati li teneva per sé, poi ai clienti con i quali stringeva rapporti chiedeva favori come assunzioni o la possibilità di infiltrarsi nelle loro attività. I capitali accumulati con le attività illecite gestite dal clan erano riciclati anche grazie a una vaste rete di rapporti economici.
Nell’inchiesta, denominata “Penelope”, è emerso che il boss Salvatore Cappello, 58 anni, condannato all’ergastolo e in carcere al 41 bis, ha "continuato a ricoprire il ruolo di capo indiscusso dell'omonimo clan, dando direttive ai sodali" grazie al contributo di "Maria Rosaria Campagna, 48 anni, sua storica compagna", residente a Napoli, e considerata "anello di congiunzione tra il predetto boss ed i vertici operativi a Catania, dove si recava frequentemente”. Le indagini sono state dirette dal procuratore Carmelo Zuccaro.
Il clan mafioso era retto da un'organizzazione gerarchica, con un gruppo di comando - Santo Strano, Giovanni Catanzaro, Giuseppe Salvatore Lombardo, Salvatore Massimiliano Salvo e Calogero Giuseppe Balsamo - e squadre dotate di un responsabile per i vari settori: città, paesi e Piana di Catania.
Le persone arrestate sono ventisette, tre invece i provvedimenti cautelari notificati ad altrettante persone già detenute, e un indagato irreperibile. Gli arrestati sono: Massimiliano Balsamo, 42 anni, Salvatore Balsamo, 32, Giovanni Bruno, 59, Sebastiano Calogero, 32, Maria Rosaria Campagna, 48, Giovanni Catanzaro, 42, Carmelo Di Mauro, 41, Orazio Di Mauro, 35, Carmelo Gianninò, 54, Domenico Greco, 42, Giuseppe Guglielmino, 43, Carmelo Licandro, 46, Giuseppe Salvatore Lombardo, 40, Mario Lupica, 51, Emanuele Giuseppe Nigro, 35, Giuseppe Palazzolo, 51, Giuseppe Piro, 26, Giovanni Matteo Privitera, 50, Giuseppe Ravaneschi, 48, Claudio Calogero Rindone, 36, Salvatore Massimiliano Salvo, 35, Antonio Scalia, 30, Tommaso Tropea, 53, Mario Ventimiglia, 31, Sebastiano Vinci Luigi, 42, e Nunzia Zampaglione, 40. Il provvedimento cautelare è stato notificato in carcere a Andrea Cambria, di 54 anni, Antonio Fabio Rapisarda, di 30, e Santo Strano, di 51.

Rifiuti ed energie rinnovabili
Dalle indagini è emerso come il gruppo mafioso poteva godere dell’appoggio di una vasta rete di imprenditori per infiltrarsi nel tessuto economico e sociale. Tra quest'ultimi è emersa la figura di Giuseppe Guglielmino, imprenditore operante nel settore della raccolta e smaltimento dei rifiuti attraverso aziende a lui riconducibili, sebbene, ritiene la Procura di Catania, intestate fittiziamente a prestanome, come la Geo Ambiente, Clean e la Eco Businnes, che sono state sequestrate in via preventiva.
La Geo ambiente, che partecipa alla raccolta di rifiuti nelle province di Catania, Siracusa e Ragusa, era stata anche vittima di un incendio doloso di due camion il 28 ottobre 2012, dopo essere riuscita ad ottenere l'affidamento di lavori in alcuni comuni in Calabria. Ma l'organizzazione mafiosa di Catania, informatasi dell’accaduto aveva poi garantito la prosecuzione dell'attività senza ulteriori problemi.
Lo smaltimento di rifiuti non era l’unica attività “green” d’interesse delle cosche, a quanto pare anche “l’energia pulita” era un business che faceva gola alla mafia. Nella prima fase delle indagini infatti,  era stato rilevato l’interesse della cosca per la realizzazione di impianti fotovoltaici nella zona di Belpasso (CT) ad opera di un'azienda del Nord Italia. L'imprenditore, che era entrato in contatto con una 'squadra' del clan dopo avere subito il furto di materiale per valore di circa 150.000 euro, aveva "ottenuto l'interessamento dell'organizzazione mafiosa per recuperare un presunto credito da un'impresa locale, superiore a 6 milioni di euro".
I contatti, scrive la Procura, "non soltanto avevano consentito al clan di infiltrarsi nell'attività di impresa, ma avevano consentito ad esponenti della cosca di richiedere ed ottenere, a titolo di protezione, somme di denaro corrisposte in occasione delle festività natalizie e pasquali".

Il malcontento per i soldi
Dalle “intercettazioni effettuate dalla Polizia di Stato emerge del malcontento sugli affari della cosca: “Centomila discussioni con la gente. E poi che che rimane in mano? Niente. Io i Casalesi li invidio per questo..." perché "qualche cosa ti serva loro ce l'hanno". C'è anche chi si lamenta "con lo Stato che si prende i soldi". "Ho un certificato che voglio vendere per sistemare un paio di cose - racconta un affiliato a un suo collega - ma ci prendono per 'collo'. Ci devo lasciare 150mila euro che sono soldi lavorati..." Contanti ne girano tanti nel clan, anche "350.000-400.00 euro al mese", ma c'è chi rimpiangi i tempi andati: ".. soldi ne hanno guadagnato assai, ma quando c'era gente di spessore... poi è successo che a quello lo hanno ammazzato, a quello lo hanno arrestato e sono rimasti i soldi...". Ma c'è un problema, "800, 500 mila euro, li avevano nascosti tutti... li avevano nascosti nei muri... e ora... Ora se li mangia lo Stato...". E i soldi servono perché bisogna pagare gli ‘stipendi’ , "rispetto alla scala gerarchica" che va dai 500 ai mille euro al mese per gli affiliati di 'base' a salire. Addirittura al boss ergastolano detenuto in regime di 41 bis, Salvatore Cappello "noi - rivela un esponente della cosa intercettato - gli mandiamo 10mila euro al mese... perché c'è sua moglie che deve fare i colloqui e ci va con l'aereo...".

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