26 anni fa l’agguato della Stidda
di Karim El Sadi
La mattina del 21 settembre di 26 anni fa venne freddato sul viadotto Gasena lungo la SS 640 Agrigento-Caltanissetta il giudice Rosario Livatino. Ucciso nel ‘90 Livatino è una delle prime vittime eccellenti cadute nell’ultimo decennio del XX secolo oltre ad essere uno dei più giovani giudici, 38 anni (per questo l’appellativo “giudice ragazzino”). Rosario Angelo Livatino nasce il 3 ottobre 1952 a Canicattì un paesino in provincia di Agrigento. Amava stare sui libri. Fin da piccolo dimostrò sempre di essere uno studente eccelso e, seguendo le orme del padre, decise, una volta terminata la scuola dell‘obbligo, di studiare legge alla facoltà di Giurisprudenza di Palermo. A soli 22 anni di età conseguì la laurea con il massimo dei voti e la lode. La carriera da magistrato è già scritta. Tra il 1978 e il 1979 partecipò con successo al concorso in magistratura, dal 29 settembre '79 al 20 agosto '89, divenne Sostituto Procuratore della Repubblica. In quell’anno Rosario Livatino si occupò delle più delicate indagini antimafia, tra cui quella che nel '90 sarebbe scoppiata come la “Tangentopoli Siciliana”, e fu il primo giudice in Italia ad interrogare un ministro. Il 21 agosto 1990 ebbe inizio la sua professione di giudice a latere e della specializzazione sezione misure e prevenzione nel tribunale di Agrigento dove prestò servizio per 13 mesi fino al giorno della sua morte. Erano anni di riscatto e di speranza per la Sicilia. Speranza che grazie al maxiprocesso guidato dal pool di cui facevano parte Falcone e Borsellino, venne in parte realizzata, almeno fino a quando Cosa Nostra non diede il colpo di coda che uccise entrambi i pilastri dell’Antimafia. Il futuro del giovane Livatino sarebbe potuto diventare di grande spessore professionale ma la mafia, nel suo caso la Stidda, lo inserì nella sua lista nera. Il 21 settembre 1990 mentre, senza scorta, si recò in tribunale, venne inseguito da quattro sicari. Livatino intuito il pericolo scese dalla sua Ford Fiesta amaranto e scappò nelle campagne fiancheggianti il viadotto Gasena, i quattro lo rincorsero e lo finirono scaricando una raffica sul suo volto. I killers del giudice ragazzino sono stati tutti individuati dal supertestimone Ivano Nava, anche i mandanti sono stati identificati e assicurati alla giustizia. Alla fine del processo tutti gli imputati sono stati condannati all’ergastolo o a pene minori per i collaboranti ma la causa madre dell’omicidio del giudice Livatino non è ancora chiara. La sentenza ha avallato la testimonianza dei collaboratori secondo la quale il giovane magistrato venne fatto ammazzare dagli 'stiddari' per ''lanciare un segnale di potenza militare verso Cosa Nostra'' e per punire un giudice severo e imparziale. Certo è che il giudice Livatino sentiva il fiato sul collo da tempo, come affermò il padre Vincenzo dopo la scomparsa del figlio: “Quella mattina ci salutò come al solito e come al solito diede un occhiata preoccupata alla finestra”. Quella sensazione di pericolo che assale coloro che non si accontentano e indagano oltre la superficie, negli abissi della collusione. Rosario Livatino era un magistrato modello, coloro che l’hanno conosciuto sono rimasti stupiti dalla sua modestia, dalla sua umiltà e soprattutto dal suo spirito di servizio. Livatino non era un pezzo grosso dell’Antimafia, non aveva scorta e ha sempre combattuto contro le cosche mafiose in silenzio chiuso nel suo ufficio, sono rari infatti gli interventi pubblici del giovane magistrato. Forse perché la sua giovane età era considerata sinonimo di inesperienza dai media e che quindi non meritava spazio in tv, o forse perché la sua modestia non ammetteva che la fama del suo nome scavalcasse il dovere morale e professionale che richiedeva il suo arduo mestiere. Un uomo semplice, buono ed estremamente fedele sia alla giustizia che alla religione cristiana, il riconoscimento per il suo servizio è tale che il 20 settembre 2011 si è avviato il processo di canonizzazione Diocesano che è avvenuto nella chiesa di San Domenico nella città natale del 38enne. Livatino credeva fermamente nella giustizia, come in Dio, e chissà che non sia anche per questo motivo che mesi fa uno dei suoi assassini, Gaspare Puzzangaro (tutt’ora in carcere) ha deciso di pentirsi e chiedere perdono alla famiglia. Livatino ha sacrificato la sua esistenza per trasmettere fiducia ai cittadini onesti che riponevano le speranze di un cambiamento in piccoli grandi uomini come lui. A Rosario Livatino importava essere, non apparire. Dopotutto com’egli stesso diceva “quando moriremo nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma quanto siamo stati credibili”.
Livatino, 'u giudici ragazzino
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