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messina gerlandinodi AMDuemila
I giudici del Tribunale di Agrigento hanno riconosciuto l’empedoclino Gerlandino Messina quale capo di Cosa Nostra, per un determinato periodo, nella provincia di Agrigento.
Il boss, arrestato nel 2010 a Favara dopo una lunga latitanza, doveva già scontare un ergastolo inflitto dalla Corte di Assise di Agrigento con la sentenza del 1 luglio 2001 (Processo Akragas), pertanto i giudici lo hanno condannato ad un ulteriore anno di isolamento diurno.
Messina è tra gli uomini che fece parte del commando che uccise il maresciallo dei carabinieri Giuliano Guazzelli. Il collegio dei giudici, presieduto da Giuseppe Melisenda Giambertoni, con a latere Maria Alessandra Tedde e Giancarlo Caruso, ha applicato l’istituto della cosiddetta continuazione.
E’ stata quindi confermata la tesi secondo cui, per appena quattro mesi, dal 25 giugno del 2010 (data dell’arresto a Marsiglia di Giuseppe Falsone) al 23 ottobre successivo, Gerlandino Messina, fino ad allora suo vice, divenne il rappresentante delle famiglie mafiose agrigentine. Il pm della Dda Rita Fulantelli, invece, aveva quantificato la richiesta di condanna in 22 anni di reclusione in quanto “da sempre faceva parte di Cosa nostra e dopo l’omicidio Guazzelli scalò le gerarchie arrivando al vertice della provincia di Agrigento”. La Dda aveva quindi istruito un processo dal periodo che andava dal 1999 fino al giorno del suo arresto. “Dalla sentenza del maxi processo Akragas - aveva detto il pm nella requisitoria - fino al giorno dell’arresto ha continuato a far parte di Cosa nostra scalando le gerarchie. L’esame dei pizzini ritrovati nel covo ha consentito di delibare il suo ruolo di boss operativo che si interessa di affari e appalti controllando il territorio”.
In particolare, nell’inchiesta, emersero anche gli interessi per i lavori del raddoppio della statale 640 e del rigassificatore di Porto Empedocle.

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