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capaci webdi Stefania Limiti
Natura dell’esplosivo, peso della carica, sistema di innesco. Attorno a queste tre diaboliche domande ruotano i segreti della strage di Capaci. Si dirà: ci sono le perizie. Vero. Quella disposta nell’immediatezza dei fatti, poi altre undici consulenze, e quella chiesta dalla Procura di Caltanissetta nell’ambito nel processo Capaci bis che volge al termine, nel quale è stata depositata anche la consulenza di parte voluta da uno degli avvocati della difesa, Salvatore Petronio. Ma non è tutto. Tra questa montagna di carte c’è anche la perizia dell’Fbi, di cui si è sempre parlato molto poco: nel ’92 i super tecnici presero un pezzo di cemento, lo analizzarono e scrissero: “Le nostre analisi hanno identificato la presenza di Pentrite e Rdx. Questi materiali esplosivi si trovano nel Semtex”, prodotto in Cecoslovacchia e non rilevato dalle analisi nostrane.
“Il fatto è che la ricostruzione della dinamica di un attentato dinamitardo è possibile per approssimazione, a causa di una perdita irreparabile di dati conoscitivi. Ma si possono fare delle solide ipotesi e, certamente, si può escludere ciò che non è potuto avvenire”. Parola del professor Francesco Saverio Romolo, esperto di chimica forense, docente all’Università La Sapienza, fino al 2001 in forza alla Polizia scientifica, collaboratore di Gianni Giulio Vadalà che è tra i primi chimici del Servizio di polizia scientifica. Entrambi hanno lavorato con numerose Direzioni distrettuali antimafia e con Gabriele Chelazzi nelle indagini sulle stragi del ’93.
Dunque, in estrema sintesi, sui primi due quesiti c’è sostanziale accordo: il materiale fatto esplodere lungo l’autostrada di Capaci, circa 500 chilogrammi di polvere mortale, era composto da tritolo e nitrato di ammonio, quest’ultimo nella forma di Anfo, cioè miscelato al cherosene: “Ma si parla di Anfo”, nota Vadalà, alludendo alla complessità dell’analisi, “solo perché Gioacchino La Barbera riconosce l’aspetto granulare. Dice ‘u’sale!’ quando nel ’96 lo vede dopo il ritrovamento del deposito alla Contrada Giambascio: si presentò all’interrogatorio con un Rolex Daytona al polso. Ma tracce di cherosene nelle perizie di Capaci non ci sono”.

Quanto al tritolo, era sicuramente quello ricavato dai residuati bellici: e i pescatori affiliati a Cosa Nostra non hanno inventato niente.
Già il pentito più importante dello stragismo neofascista, Carlo Digilio, durante l’inchiesta del procuratore Salvini sulla strage di Piazza Fontana, raccontò come i camerati della struttura veneta di Ordine nuovo (un vero servizio segreto al quale è stato affiliato anche Pietro Rampulla, l’artificiere di Capaci) estraevano quella polvere dagli ordigni di guerra rimasti sui fondali dei laghi del Nord. Sentire il racconto di Digilio è un po’ come ascoltare quello di Spatuzza, sembra che abbiano una comune tradizione. Dicevamo: tritolo e Anfo. Ma come vengono fatti esplodere? Siamo al terzo quesito, quello sul sistema d’innesco, e qui l’affare si complica. L’accusa al processo in corso sostiene che “tutto si tiene”: il nitrato di ammonio unito al cherosene “scoppia” facilmente, due detonatori – di cui parlano i pentiti Brusca e La Barbera – hanno fatto il resto. Basta a far saltare in aria tutta quell’enorme bomba? Romolo è sorpreso: “Nessuno specialista opererebbe con due detonatori per una gran massa di esplosivo ma senza sperimentazione non possiamo escludere che sia andata proprio così”. Il nitrato d’ammonio esplode più facilmente se unito al cherosene? “Sono sostanze non facilmente attivabili, forse il primo insieme al cherosene è un po’ meno ‘sordo’, comunque ci vuole una bella carica detonante”. Poi ci sono le tracce di pentrite. “La pentrite può provenire dal Semtex-H, quello di cui parla la perizia dell’Fbi, o da una miccia detonante”.
Dunque potrebbero essere appartenute ad un detonatore di cui è rimasta qualche traccia? “Guardi, è inverosimile trovare tracce di pentrite dopo l’esplosione. In un detonatore comune generalmente c’è pentrite o Rdx in quantità inferiore ad un grammo. C’è molto più zucchero in un cucchiaino da caffè raso. Dopo il botto non si trova niente”. Insomma, le tracce di pentrite non si spiegano. E non spiega neanche come sia stata innescata la detonazione per far saltare in aria tutta quella massa di esplosivo. Ci ricordano i nostri esperti: “La mafia aveva molta disponibilità di esplosivo: conservavano Brixia B5, esplosivo civile per impiego estrattivo, tritolo in polvere o in blocchi, Semtex-H, Anfo da impianti minerari rubato nelle cave della Sicilia occidentale, detonatori elettrici, miccia”. Potrebbe essere stato un “panetto” di Semtex, che pure Cosa nostra aveva a disposizione? Nessuno dei pentiti descrive qualcosa di simile al Semtex o dà un’altra spiegazione sufficiente. E non è detto che mentano. Magari non lo sanno perché il lavoro finale è stato fatto da qualche altro compare che tiene la bocca chiusa.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano del 19 maggio 2016

Nel prossimo numero cartaceo di ANTIMAFIADuemila ci sarà un approfondimento sul tema.

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