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carabineri comando Video e Foto
di Aaron Pettinari
“Brasca" e "Quattro Zero”, nella doppia operazione 62 finiscono in manette
La nuova mafia? Riparte dalla vecchia almeno nei mandamenti di Villagrazia-Santa Maria di Gesù e San Giuseppe Jato e nella famiglia di Altofonte. E' quanto emerso nell'attività investigativa dei carabinieri del Ros e del Gruppo Carabinieri di Monreale che grazie ad un importante servizio di intercettazione sono riusciti a mettere in evidenza la riorganizzazione delle strutture criminali in quei territori.

Questa mattina, dunque, c'è stato il blitz che ha portato all'esecuzione delle ordinanze di custodia cautelare emesse dal Gip di Palermo su richiesta della Procura (le indagini coordinate dal procuratore Lo Voi, dagli aggiunti Agueci e Teresi e dai sostituti Del Bene, Demonits, Luise, Mazzocco e De Flammineis) rispetto a 62 soggetti accusati a vario titolo di associazione mafiosa nonché dei delitti di estorsione, danneggiamento, ricettazione, favoreggiamento e reati in materia di armi aggravati dal metodo mafioso. Contestualmente si sono effettuati anche alcuni sequestri preventivo attività commerciali, imprese e beni immobili frutto di arricchimento illecito.



Vecchi boss al potere, fedelissimi di Riina
Le due operazioni, denominata “Brasca" e "Quattro Zero” hanno dimostrato che al vertice del mandamento di Villagrazia, la parte orientale di Palermo, c'era Mariano Marchese, 77 anni compiuti l’1 gennaio, a cui Riina già nel 1981, dopo l'assassinio nella guerra di mafia di don Stefano Bontate, aveva affidato un ruolo apicale.
A San Giuseppe Jato, invece il vertice era rappresentato da Gregorio Agrigento, fratello di un boss ergastolano, rappresentante di una storica famiglia mafiosa della provincia come San Cipirello che da sempre è legata alla famiglia dei Brusca di San Giuseppe Jato. Una scalata al potere, nonostante l'età, fino a divenire il capo mandamento della stessa San Giuseppe Jato.
E' da loro che la mafia era ripartita, tra Palermo e Provincia, una volta che erano tornati in libertà.
Marchese, già accusato negli anni'80 da Salvatore Contorno, era tornato in libertà nel 2001 dopo che al primo maxiprocesso era stato condannato in appello a 16 anni.
Agrigento, invece, dopo l'assoluzoine per un “cavillo” sulle intercettazioni dell'operazione Perseo che avevano vanificato l'arresto nel 2008, era uscito dal carcere nel 2010.
Entrambni sono stati monitorati da vicino dagli inquirenti e così si è arrivati agli arresti di oggi.



Clima caldo
Le intercettazioni eseguite hanno registrato che c'era un clima particolarmente teso tra i due mandamenti. “A Gregorio gli è partito il cervello”, diceva Marchese. “S’arrivu a incucciarlo, l’ha fari novo io”. E ancora: “Io che dovrei fare, sdisanuratu che è… Mi manda un picciutteddu che io nemmeno conoscevo”.
Motivo del dissidio era la colpa del capomafia di provincia di non aver rispettato le regole basilari di Cosa nostra come l'utilizzo di un “giovane sconosciuto” per la consegna di un'ambasciata. Ma a minare i rapporti c'era anche la nomina di un capomafia, ad Altofonte, “famiglia di mezzo” fra i due mandamenti.
Secondo gli inquirenti sarebbe potuto anche scoppiare una nuova faida.
Tre anni fa, a Villagrazia, fu trovato morto il capomafia Giovanbattista Tusa tanto che si pensò ad un delitto consumato all'interno di Cosa nostra. Anche Mariano Marchese ne era convinto, poi gli dissero che a sparare era stato il cognato di Tusa dopo una lite in famiglia. I Ros registravano quelle parole e così venne arrestato l'ottantenne Vincenzo Gambino.

Affari e tesori
Tra i crimini contestati vi è anche quello delle estorsioni, dei danneggiamenti. Il solito giro di affari che porta anche i clan ad investire anche in alcune imprese. E dai due capimafia c'era la fila per risolvere questioni di ogni genere. “Ora, io voglio sapere se è rivolto a me, visto che c’è stata una seconda volta”, diceva a Mario Marchese un imprenditore che aveva subito due attentati nel suo cantiere: “Come mi devo comportare… mi devo guardare io o si devono guardare gli altri?”. E Marchese sentenziava: “Sono fanghi”. Gli “altri”, non erano Cosa nostra ma soggetti appartenenti alla microcriminalità. E così l'imprendotre chiedeva l'intervento del boss. Un fatto inquietante specchio di una mafia che è tornata ad essere ago della bilancia nei quartieri e nei territori dove è presente.
Questa mattina sono anche sequestrate delle attività commeciali, imprese, e beni immobili. Nelle intercettazioni si parla anche del tesoro di Villagrazia, un tempo gestito dal “Principe” Stefano Bontate, poi spartito tra le varie famiglie.

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