Tre donne dirigevano attività criminali
di AMDuemila
Maxi operazione antimafia dei Carabinieri di Catania: militari dell'Arma hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 109 indagati con arresti in corso in Italia e all'estero. Al centro delle indagini, coordinate dalla Dda della Procura, lo storico clan Laudani. Sono oltre 500 i carabinieri del Comando provinciale di Catania ed unità specializzate che stanno eseguendo in Italia e all'estero il provvedimento restrittivo emesso dal gip di Catania, su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia, nei confronti di 109 persone, dirigenti ed affiliate del clan mafioso Laudani, noti come 'Mussi di ficurinia' ('labbri da ficodindia). I reati ipotizzati, a vario titolo, sono associazione mafiosa, estorsione, intestazione fittizia di beni, spaccio e traffico di stupefacenti, detenzione e porto illegale di armi.
Pezzo di storia
L'inchiesta, denominata “Viceré”, ha consentito di ricostruire l'organigramma della cosca. La 'famiglia' è considerata una delle più ramificate e pericolose consorterie criminali operante nel catanese, caratterizzato da una autonomia criminale orgogliosamente rivendicata anche nei confronti di Cosa nostra catanese, con la quale, peraltro, non ha disdegnato di stringere alleanze partecipando alle più sanguinose faide degli anni Ottanta e Novanta, con saldi legami anche con la 'Ndrangheta reggina.
Proprio negli anni Novanta è stato il braccio armato del clan Santapaola dopo aver preso il posto della famiglia Pulvirenti, "u malpassotu". Feroce e spietato, il clan venne preso per mano da Pippo Di Giacomo, un sicario oggi in carcere, condannato all'ergastolo. Il clan fu protagonista durante quegli anni di tre gravissmi episodi di criminalità mafiosa: nel 1993 l'attentato alla caserma dei carabinieri di Gravina di Catania, nel 1994 l'omicidio dell'ispettore della polizia penitenziaria Luigi Bodenza e un anno dopo, nel 1995, l'assassinio dell'avvocato Serafino Famà.
Estorsioni ramificate
Gli inquirenti ritengono di avere individuato capi e gregari, accertando numerose estorsioni praticate in modo capillare e soffocante ai danni di imprese ed attività commerciali del territorio e riscontrando un diffuso condizionamento illecito dell'economia locale posto in essere anche con attentati alle attività produttive ed aggressioni agli imprenditori. Ma nonostante gli sforzi degli investigatori, nessun decisivo contributo alle indagini è emerso dalle dichiarazioni delle vittime che, a riprova del profondo stato di assoggettamento, o hanno negato di essere sottoposte al pagamento del 'pizzo' o si sono limitate ad ammettere il solo fatto storico dell'estorsione, non fornendo alcun elemento utile per l'identificazione dei responsabili.
Il ruolo delle donne
Le indagini dei carabinieri di Catania nel maxiblitz contro la cosca Laudani hanno anche permesso di evidenziare il ruolo centrale ricoperto da tre donne all'interno all'organizzazione. Arrestate da militari dell'Arma nell'ambito dell'operazione 'Viceré', secondo l'accusa, si sono dimostrate in grado di dirigere le attività criminali della cosca seguendo le direttive impartite dai vertici della 'famiglia'. Inoltre si sarebbero occupate anche della gestione della 'cassa comune' e del sostentamento economico delle famiglie degli affiliati detenuti. Il procuratore Michelangelo Patané ha così commentato l'operazione: “E' un duro colpo ai vertici, sia ai capi storici che hanno anche legami di sangue tra loro sia agli attuali reggenti, del clan Laudani, una delle più efferate organizzazioni criminali che operano nella nostra Provincia”. Quindi ha aggiunto: “E' una grande operazione dei militari dell'Arma che arriva a conclusione di una lunga inchiesta coordinata dalla nostra Direzione distrettuale antimafia che ha acceso un faro su una 'famiglia' tra le più sanguinarie della storia di Cosa nostra a Catania. E' un segnale forte e chiaro della forza dello Stato e della capacità delle istituzioni di agire sempre con fermezza nella lotta alla criminalità”.