“Il fatto non costituisce reato”
di Aaron Pettinari
“Non luogo a procedere”. E' questo quanto ha stabilito il Gup di Catania Gaetana Bernabò Distefano secondo cui non c'erano elementi necessari a istruire un processo nei confronti dell'editore e direttore de La Sicilia, Mario Ciancio Sanfilippo, nell'inchiesta in cui era imputato per concorso esterno in associazione mafiosa. Non c'è solo questo. Secondo il gup, infatti, le condotte imputate a Ciancio non sono previste dalla legge come reato. Una determinazione che per essere compresa nella sua interezza necessità di un'attenta lettura delle motivazioni che saranno depositate entro i prossimi novanta giorni. Intanto però nei confronti dell'editore più potente del Sud Italia (Ciancio è ex vice direttore dell’Ansa ed ex presidente della Fieg, proprietario del quotidiano La Sicilia e di una serie di tv locali, azionista del Giornale di Sicilia, della Gazzetta del Mezzogiorno, della Gazzetta del Sud e del gruppo Espresso Repubblica, ndr).
L'inchiesta nei suoi confronti è stata aperta nel 2010. In precedenza la Procura di Catania aveva chiesto l'archiviazione del fascicolo, ma il Gip Luigi Barone in udienza camerale aveva sollecitato nuove indagini. E così si è arrivati alla richiesta di rinvio a giudizio. I pm della Procura di Catania, nell'avviso di conclusione delle indagini, sottolineavano come “la contestazione si fonda sulla ricostruzione di una serie di vicende che iniziano negli anni '70 e si protraggono nel tempo fino ad anni recenti” e “riguardano partecipazione ad iniziative imprenditoriali nelle quali risultano coinvolti forti interessi riconducibili all'organizzazione Cosa Nostra” e in particolare a un centro commerciale.
Anche il gup Marina Rizza, nelle motivazioni della sentenza di condanna in primo grado a sei anni e otto mesi nei confronti dell'ex Governatore siciliano Raffaele Lombardo aveva fornito una lettura sull'modus operandi dell'editore. “Il modus operandi e la presenza di elementi vicini alla mafia palermitana fanno ritenere con un elevato coefficiente di probabilità che lo stesso Ciancio fosse soggetto assai vicino al detto sodalizio”, scrive il giudice, spiegando che i rapporti tra Ciancio e la mafia etnea sarebbero passati “attraverso i contatti con Cosa nostra di Palermo”: in quel modo l’editore “avrebbe quindi apportato un contributo concreto, effettivo e duraturo alla ‘famiglia’ catanese”.
Nei mesi scorsi erano anche state avviate delle indagini patrimoniali sull'editore dalle quali emerse come in Svizzera fossero depositati 52 milioni di euro. La Procura dispose anche il sequestro di 17 milioni di euro di quel denaro che, secondo l'accusa, non sarebbe giustificato dai redditi dello stesso Ciancio.
Così vengono messi nero su bianco una serie di casi dove il bavaglio viene messo direttamente da editori o direttori, proprio per venire incontro ai desiderata delle famiglie mafiose. Dal caso del quotidiano La Sicilia di Mario Ciancio, dove chi è scomodo viene pagato per non scrivere (è quanto accade al giornalista Franco Castaldo).
Ciancio, che oltre a possedere La Sicilia ha partecipazioni azionarie nel Giornale di Sicilia e nella Gazzetta del Mezzogiorno, già presidente Fieg e vicepresidente di Ansa, è attualmente indagato dalla procura di Catania per concorso esterno a Cosa nostra. Nei mesi scorsi gli sono stati sequestrati 12 milioni di euro depositati su conti in Svizzera. Del caso Ciancio Fava parla analizza ogni passaggio, passando dalla lettera inviata dal boss Vincenzo Santapaola, rinchiuso al 41 bis, pubblicata integralmente e senza commenti, fino ai necrologi pubblicati dopo la morte del boss mafioso Giuseppe Ercolano, lo stesso che qualche tempo prima si era recato in redazione per rimproverare il giornalista Concetto Mannisi, reo di averlo definito un boss mafioso.
Il caso Ciancio è stato anche oggetto di analisi della Commissione parlamentare antimafia che lo scorso agosto ha approvato all'unanimità una relazione su “Mafia, giornalisti e mondo dell'informazione”. Nel documento di 80 pagine sono descritti nero su bianco una serie di casi dove il bavaglio viene messo direttamente da editori o direttori, proprio per venire incontro ai desiderata delle famiglie mafiose. In particolare del “caso Ciancio” Fava parla analizza ogni passaggio, passando dalla lettera inviata dal boss Vincenzo Santapaola, rinchiuso al 41 bis, pubblicata integralmente e senza commenti, fino ai necrologi pubblicati dopo la morte del boss mafioso Giuseppe Ercolano, lo stesso che qualche tempo prima si era recato in redazione per rimproverare il giornalista Concetto Mannisi, reo di averlo definito un boss mafioso. Atteggiamenti che certo non hanno bisogno di un processo penale per essere criticati e da cui prendere le distanze, anche se ora è arrivata questa assoluzione per il reato di concorso esterno. “Questa sentenza ha consentito di evitare ingiustizie: sono particolarmente felice di avere trovato un giudice che ha trovato la forza e il tempo di leggere questa mole di carte e di assumere una decisione assolutamente coraggiosa” commenta il legale del direttore ed editore de La Sicilia, l'avvocato Carmelo Peluso, che lo ha assistito con Francesco Colotti, dello studio di Giulia Bongiorno. Ma la partita potrebbe non essere ancora chiusa. “Prima leggeremo le motivazioni e poi decideremo: le sentenze non si commentano” ha commentato il procuratore di Catania, Michelangelo Patanè. Sulla stessa linea i legali delle parti civili (per l'Ordine dei giornalisti di Sicilia, l'avvocato Dario Pastore, per i due fratelli del commissario della polizia di Stato Beppe Montana, ucciso dalla mafia, Dario e Gerlando, il penalista Goffredo D'Antona, e per Sos Impresa, associazione antiracket di Confesercenti, il legale Fausto Maria Amato, ndr). La decisione del Gup può essere appellata in Cassazione.