Operazione "Panta Rei", tra gli arrestati l'architetto vicino a Riina e il boss Tinnirello
di Miriam Cuccu
C'era aria di burrasca nel mandamento di Bagheria. E Tonino Messicati Vitale, boss di Villabate in libertà dallo scorso ottobre per un cavillo giudiziario, era finito proprio nell'occhio del ciclone. A raccontarlo è Salvatore Sollima, uno dei più recenti collaboratori di giustizia del mandamento, che spiega l'astio nato all'interno delle famiglie mafiose già nel 2014. Messicati Vitale era stato arrestato nel 2012 a Bali, in un residence di lusso, dopo essere riuscito a sfuggire all'operazione "Sisma" con la quale era stato decapitato il vertice del mandamento mafioso di Misilmeri. In seguito, tornato uomo di libero, aveva corso il rischio di essere ucciso. "Tonino Messicati - spiega Sollima - aveva dato ordini di prendersi il paese di Villabate nelle mani sue, che già c’era Giuseppe Costa, io e Pitaressi, dove lui Vitale autorizza uno che ci dicono u francisi... autorizza a lui di dirgli a Giuseppe Costa di consegnare la lista del paese a lui".
Di Messicati Vitale ne parlano molti pentiti. "E' un tipo per il quale andare ad uccidere una persona è come comprare un pacchetto di sigarette" diceva Stefano Lo Verso, "il vero capo del mandamento di Bagheria - secondo Sergio Flamia - molto influente e potente… addirittura sovraordinato a Antonino Zarcone”. Secondo le indagini che hanno portato due giorni fa all'operazione "Panta Rei" e all'arresto di 38 persone, il mandamento di Bagheria, in fase di ricostruzione, era passato nelle mani di Giampiero Pitaressi, Giuseppe Costa e Nicolò Testa. Erano stati scelti nuovi capi, che non erano affatto intenzionati a chinare la testa di fronte a Messicati Vitale, il quale dopo essere stato rimesso in libertà la prima volta esigeva di tornare ad essere il "dominus" nel mandamento. "Qua stava succedendo qualche sparatoria... alle cinque andava in caserma a firmare..." sostiene il pentito, aggiungendo però che "non è successo mai nulla perché c’erano ogni volta che noi andavamo da lui c’era sempre qualche impedimento, c’erano troppi carabinieri, forse stavano facendo indagini su di lui, una cosa del genere". Proprio Sollima faceva parte del commando che avrebbe dovuto assassinare Messicati Vitale, insieme a Giuseppe Costa e a Giampiero Pitaressi. Nel mirino, anche "il francese", il quale "diceva che Villabate era suo e Villabate se lo doveva prendere lui". Tra i personaggi al centro della ricostruzione anche un nome, coperto da omissis, un soggetto che avrebbe detto al francese di "starsi al suo posto".
Il progetto di attentato per Messicati Vitale, però, si risolse in un nulla di fatto a causa del suo arresto nell'ottobre 2014. Secondo gli inquirenti il boss di Villabate stava progettando una fuga e programmando di cambiare volto con una maschera al silicone ad alta definizione. Le intercettazioni sul suo conto avevano consentito di accertare come il capomafia, già titolare di un passaporto italiano, si fosse adoperato anche per procurarsi un passaporto falso. Da qui il timore del pericolo di fuga e il conseguente provvedimento di fermo, che gli salvò la vita.
Tra gli arrestati nel blitz "Panta Rei" figura Salvatore Scardina, architetto considerato molto vicino al boss Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina, una condanna a 8 anni di reclusione (associazione mafiosa e interdizione perpetua dai pubblici uffici) dopo la quale aveva ripreso ad esercitare la professione, questa volta a Roma in uno studio ai Parioli, dopo essere stato riabilitato nel 2006 da Tribunale di sorveglianza della capitale. Secondo i pm Francesca Mazzocco e Caterina Malagoli Scardina dopo la condanna non è più stato davvero operativo in Sicilia, nonostante tornasse spesso a Santa Flavia, anche se, stando alle indagini, sarebbe sempre rimasto all'interno della famiglia mafiosa di Bagheria. Secondo il pentito Flamia, si legge ancora nel decreto, Scardina era "un influente e carismatico uomo d'onore bagherese che, seppur non ricoprendo cariche formali, era in grado di gestire autonomamente dinamiche mafiose anche di alto profilo, senza l'autorizzazione dei vertici operativi che via via si succedevano alla guida del mandamento di Bagheria".
Scardina è stato testimone alle nozze tra Gaetano Sangiorgi e Angela Salvo, nipote dell'imprenditore nonché noto esponente della Democrazia Cristiana Ignazio Salvo, assassinato il 17 settembre 1992 davanti al cancello della sua villa a Santa Flavia. Sangiorgi era stato condannato all'ergastolo, in concorso con altri, proprio per il suo omicidio.
In passato storici collaboratori di giustizia avevano già parlato di Scardina come uomo d'onore della famiglia mafiosa di Bagheria, direttamente e strettamente legato ai corleonesi di Riina e Bagarella, definito nel decreto di fermo "un 'colletto bianco', formalmente affiliato a Cosa Nostra ed in contatto, già dalla fine degli anni '80, con gli ambienti della politica e dell'imprenditoria romana che contano". Per conto dello schieramento di Riina, anche Scardina aveva fornito supporto logistico per l'omicidio di Ignazio Salvo e, secondo le dichiarazioni dei pentiti Giovanni Brusca e Gioacchino Di Pennino, per un attentato alla vita dell'allora ministro Claudio Martelli, che si sarebbe dovuto realizzare a Roma intorno al 1992.
Stando alle recenti dichiarazioni di importanti collaboratori di giustizia, inoltre, è stato riscontrato che al vertice di Cosa nostra palermitana vi era un anziano e carismatico uomo d'onore (che figura tra i 38 arrestati nell'operazione) in grado di "dirimere le più delicate controversie comuni all'organizzazione e 'guidare' i più giovani elementi di vertice, che hanno una funzione operativa sul territorio". Si tratta di Gaetano Tinnirello, già condannato per mafia.
Tinnirello ha da sempre operato nel settore dell'edilizia, sia attraverso la titolarità di esercizi commerciali dediti alla vendita di materiale edile che attraverso imprese esercenti l'attività di costruzione e ristrutturazione di immobili sino a quando, nel 1989, è stato sottoposto alla misura di prevenzione patrimoniale con la quale gli sono stati sequestrati immobili e quote societarie. Secondo il pentito Flamia, Tinnirello "aveva le chiavi di tutto Palermo" ed era il soggetto in posizione apicale in grado di tirare le fila dell'intera Cosa nostra.