di AMDuemila
Beni immobili e aziende per 13 milioni di euro sono stati sequestrati questa mattina dagli uomini del Servizio centrale operativo (Sco) e delle squadre mobili di Palermo e Trapani, del Gico della guardia di finanza di Palermo e del Ros - Reparto anticrimine dei carabinieri di Palermo, a quattro presunti fiancheggiatori del boss mafioso latitante Matteo Messina Denaro.
Un provvedimento emesso dal gip del tribunale di Palermo, Maria Pino, su richiesta dell'aggiunto Teresa Principato e dei sostituti Paolo Guido e Carlo Manzella che ha colpito i patrimoni di Vito Gondola, 77 anni, allevatore, considerato dagli investigatori il reggente del mandamento di Mazara; Michele Gucciardi, 62 anni, imprenditore agricolo, considerato il reggente della famiglia di Salemi; Giovanni Domenico Scimonelli, 48 anni, imprenditore, considerato uomo d’onore della famiglia di Partanna; Pietro Giambalvo, 77 anni, allevatore, considerato uomo d’onore della famiglia di Santa Ninfa.
In particolare il sequestro riguarda beni mobili, immobili ed aziende, ubicate a Mazara del Vallo, Castelvetrano, Salemi, Partanna, Santa Ninfa e Trapani: otto aziende e una quota societaria (supermercati, aziende agricole e d'allevamento ovino); 68 immobili (27 fabbricati e 41 terreni), due autovetture, 36 rapporti finanziari e bancari. I quattro si trovano in carcere dal 3 agosto, quando furono arrestati nell'ambito del blitz Ermes che portò allo smantellamento di una rete di fiancheggiatori del superlatitante Matteo Messina Denaro.
In particolare gli inquirenti si sono concentrati su Mimmo Scimonelli, uno dei pochi a conoscere l'effettiva collocazione dei pizzini inviati dal boss trapanese. Dalle indagini è emerso persino un contatto con un funzionario del ministero dello Sviluppo Economico, nell'estate 2014. A quanto pare, obiettivo dello Scimonelli era l'accesso ad un fondo di garanzia del ministero per ottenere da una banca un finanziamento di 700mila euro e per arrivarvi ha incontrato più volte un funzionario del ministero di via Molise ed ora si stanno facendo tutti gli accertamenti per capire se alla fine si sia arrivati a questi fondi. Dalle intercettazioni lo stesso imprenditore era particolarmente fiducioso di ottenere quel finanziamento, proprio grazie all'opera messa in campo dal funzionario infedele. C'era persino una società pulita già pronta a “correre” e presentare le necessarie documentazioni di richiesta. Ed anche su questo ora si lavora per smantellare ulteriormente la rete di protezione dell'imprendibile boss di Castelvetrano.
Dalle indagini è anche emersa la creazione di diverse società fittizie con una girandola di carte di credito. Il sospetto è che le stesse servissero anche per la latitanza del superlatitante.