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carabinieri bagheria arrestoDopo anni di silenzio le vittime del racket hanno deciso di denunciare
di AMDuemila
Gli estortori colpivano a tappeto. Dall'edilizia a qualsiasi attività economica locale che portasse guadagni: negozi di mobili e di abbigliamento, attività all'ingrosso di frutta e di pesce, bar, sale giochi, centri scommesse. Sono cinquanta le estorsioni scoperte con le indagini che hanno portato all’operazione di questa mattina contro la cosca di Bagheria: 22 i provvedimenti cautelari nei confronti di capi e gregari, portati a termine dai carabinieri del Comando Provinciale di Palermo. Grazie alla dettagliata ricostruzione fornita da 36 imprenditori che hanno trovato il coraggio, dopo decenni di silenzio, di ribellarsi al giogo del "pizzo" è stato possibile tracciare la mappa del racket, condotta dai boss che si sono susseguiti dal 2003 al 2013 ai vertici del clan, una soffocante pressione estorsiva evidenziata dall’inchiesta. I destinatari dei provvedimenti (di cui buona parte era già detenuta) sono accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione, sequestro di persona e danneggiamento a seguito di incendio.

L'indagine, coordinata dalla Dda di Palermo, è il seguito di un'altra operazione messa a segno contro le cosche della cittadina alle porte di Palermo, per anni roccaforte del boss corleonese Bernardo Provenzano, quando era latitante. Per ricostruire gli assetti mafiosi del clan hanno svolto un ruolo cruciale le dichiarazioni del pentito Sergio Flamia.
"Trentasei imprenditori hanno ammesso di avere pagato il pizzo. Alcuni di loro sono stati sottoposti a vessazioni per anni. E' la breccia che ha aperto la strada per assestare un nuovo colpo a Cosa nostra, segno che i tempi sono cambiati e che imprenditori e commercianti finalmente si ribellano". A dichiararlo è stato il colonnello Salvatore Altavilla, comandante del Reparto operativo dei carabinieri di Palermo, commentando il blitz dell'Arma.
Una delle storie di minacce ed estorsioni riguarda un imprenditore bagherese che aveva iniziato a pagare 3 milioni di lire al mese. Per accontentare le richieste dei boss l'uomo è finito sul lastrico e ha dovuto chiudere l'attività. Dopo vent’anni in cui aveva subito una lunga serie di minacce e soprusi, la vittima ha deciso di ribellarsi al racket. Scoperta dai carabinieri anche la storia di un funzionario comunale dell'Ufficio tecnico di Bagheria che avrebbe avuto contrasti con la cosca a causa della lottizzazione di alcune aree. Per questo Cosa nostra, nel 2004, gli aveva incendiato la casa e sequestrato un collaboratore domestico.
"Anche se per molti anni le infiltrazioni e i condizionamenti di Cosa nostra sono risultati gravi sul tessuto sociale ed economico del territorio della provincia, le indagini odierne, oltre alle operazioni antimafia di questi ultimi anni, registrano dei significativi segnali di resistenza da parte di molti operatori economici". E' quanto si legge in una nota di Addiopizzo che ha supportato, assieme ad altre associazioni come Libero Futuro, alcuni degli imprenditori che hanno collaboratori all'operazione della Dda e dei carabinieri di Palermo. "La straordinaria azione repressiva delle forze dell'ordine e dei magistrati, i diversi collaboratori di giustizia e il percorso di affrancamento dal fenomeno estorsivo di commercianti e imprenditori, sostenuto dalle associazioni antiracket - prosegue Addiopizzo - rilevano come anche su questa area della provincia così difficile ci possano essere le condizioni per sgretolare il muro di omertà e voltare pagina. L'azione delle forze dell'ordine e dell'autorità giudiziaria e il perseverante lavoro nel territorio condotto dalle associazioni hanno creato una rete di soggetti in grado di offrire competenze, tutele e schermo necessari affinché chi denuncia possa farlo in sicurezza".

I nomi degli arrestati
Carmelo Bartolone, di 58 anni; Andrea Fortunato Carbone, di 50; Francesco Centineo di 31; Antonino Gioacchino Di Bella, di 60; Giacinto Di Salvo, detto "Gino", di 72; Nicolò Eucaliptus detto "Nicola", di 75; Giuseppe Pietro Flamia detto "il Porco", di 57; Vicenzo Gagliano; di 51; Silvestre Girgenti detto "Silvio", di 46. Umberto Guagliardo, di 26; Rosario La Mantia, di 51; Salvatore Lauricella, di 39; Pietro Liga, di 49; Francesco Lombardo, di 59; Gioacchino Mineo, detto "Gino", di 63; Onofrio Morreale, di 50; Giuseppe Scaduto, di 69; Giovanni Trapani, di 59; tutti già detenuti. Sono stati inoltre arrestati Giacinto Tutino, di 60 anni; Luigi Di salvo detto "U Sorrentino", di 51, e Francesco Mineo, di 61.

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