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di Lorenzo Baldo - 6 novembre 2014
Lo ha detto il ministro dei Lavori Pubblici di Cosa Nostra, deponendo in video-conferenza nell’aula bunker dell’Ucciardone di Palermo nel processo della Trattativa Stato-mafia
Le revoche del 41bis? “Io mi lamentai con Bernardo Brusca che ad alcuni era stato tolto e lui mi disse: ‘non ti preoccupare sarai servito anche tu, vedrai che entro il 2000 saremo tutti a casa’”. Le stragi del ’93? “Antonino Gioè mi disse che una persona vicina a Craxi aveva detto che volevano una dimostrazione (da parte di Cosa Nostra, ndr)”. La scelta di cambiare il suo avvocato? “Il genero di Nino Salvo, Gaetano Sangiorgi, mi disse di farmi difendere dall’avvocato Vittorio Virga, definito ‘molto vicino’, molto amico di Craxi, e contestualmente di Berlusconi, che poteva fare molto per noi”.
La prosecuzione dell’audizione dell’ex boss di Cosa Nostra, Angelo Siino, al processo sulla trattativa Stato-mafia riserva sicuramente alcuni spunti molto interessanti. Siino non ricorda esattamente il momento preciso della conversazione avuta con Bernardo Brusca, ma l’anno è il 1993: un periodo decisamente cruciale nella “concessione” delle revoche del regime di carcere duro da parte dello Stato. L’ex boss di Cosa Nostra racconta di quando Piddu Madonia gli aveva detto di cominciare a fare i nomi dei politici collusi colpevoli di averli traditi. Inizialmente Siino non aveva voluto preferendo pensare ad una sorta di vendetta personale una volta uscito dal carcere. Nel ’93, durante la sua permanenza nel carcere di Rebibbia “c’era un andare e venire di personaggi che non si capiva chi erano e cosa volevano… c’erano più uomini dei servizi che galeranti”, sottolinea in aula il collaboratore di giustizia. Che ricorda le conversazioni avute con l’ex boss di Altofonte, Antonino Gioè, prima che quest’ultimo si “suicidasse” nella sua cella, la notte tra il 28 e il 29 luglio ’93, in circostanze del tutto misteriose. Siino racconta che lo stesso Gioè gli aveva confidato di essere stato avvicinato da esponenti dei Servizi e che, dopo aver ripensato ai suoi figli, gli aveva esternato di non avere più avuto alcuna intenzione di collaborare con quegli apparati. “Ma di queste interlocuzioni con Gioè ne ha parlato con Mario Mori o Giuseppe De Donno?”, chiede il magistrato. “Non ricordo – replica laconicamente Siino – può darsi che ne abbia parlato quando ci siamo visti a Rebibbia”.
Per approfondire la questione del “pizzino” scambiato tra lui e Gioè a Rebibbia il pm Di Matteo rilegge il verbale di interrogatorio di Siino del ’98 nel quale l’ex uomo d’onore raccontava il contenuto di quel foglietto nascosto in un intercapedine di un muro del carcere romano. Nel “pizzino” si parlava di un eventuale “separatismo della Sicilia”, ma soprattutto si faceva riferimento all’importanza di “favorire Craxi” che, dopo una “dimostrazione (da parte di Cosa Nostra, ndr) che mettesse sottosopra l’Italia” avrebbe dovuto fare “un intervento che doveva capovolgere tutta la situazione”. In quello stesso verbale Siino aveva raccontato di un altro passaggio della conversazione avuta con Antonino Gioè. Questi, secondo la ricostruzione del pentito, gli avrebbe chiesto se conosceva Massimo Berruti. “Io non lo conoscevo – dichiarava Siino nel ’98 –, Gioè mi disse che era amico di Totò Di Ganci, rappresentante della famiglia mafiosa di Sciacca. Leoluca Bagarella doveva andare a parlare con questo signore, Berruti era un tenente della Guardia di Finanza, lui (Gioè, ndr) mi disse che questa persona era vicina a Craxi aggiungendo: ‘vogliono una dimostrazione da parte nostra, siamo atterrati da poco nei monumenti in modo che facciamo scantare (impaurire, ndr) a tutti… dobbiamo buttare a gambe all’aria la torre di Pisa…’”. A distanza di tanti anni dai fatti narrati la malattia di Angelo Siino gli impedisce, però, di mantenere quella lucidità necessaria per far fronte a quei ricordi. A volte conferma quanto dichiarato precedentemente, altre volte non riesce a ricordare. Nello stesso verbale del ’98 il collegamento tra Bettino Craxi e Silvio Berlusconi era alquanto esplicito. “Tale riferimento a Berlusconi – aveva dichiarato Siino agli inquirenti – mi fu poi confermato da Bernardo Brusca durante il periodo di comune carcerazione a Termini Imerese”. “Mi mandarono a dire di prendere questo avvocato (Vittorio Virga, ndr) che era amico di Craxi e conseguentemente di Berlusconi – replica il collaboratore di giustizia alla domanda di approfondimento del pubblico ministero –, mi dissero che (l’avv. Virga, ndr) era una persona che sapeva il fatto suo, poi però non se ne fece più nulla perché mi disse di avere dei motivi di incompatibilità con l’avv. Restivo che era considerato sbirro. Poi l’avvocato Virga aggiunse che lui avrebbe difeso il dott. Contrada con il quale lui pensava che io avessi contrasti”. La prosecuzione dell’audizione di Angelo Siino è prevista per giovedì 13 novembre.
Tratto da: loraquotidiano.it
DOSSIER Processo trattativa Stato-mafia
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