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palermo-tribunale-palazzo-di-giustizia-toghedi Lorenzo Baldo - 11 ottobre 2014
Palermo. “The day after”. Il giorno dopo l’ordinanza che vieta la partecipazione degli imputati all’udienza del processo sulla trattativa che si svolgerà il prossimo 28 ottobre al Quirinale, al Palazzo di giustizia si respira un’atmosfera che ricorda l’omonimo film del 1983 di Nicholas Meyer. Paragone azzardato? Probabilmente. Ma sicuramente sono reali le macerie lasciate dall’uragano che continua ad abbattersi sulla Procura di Palermo fin dall’inizio delle indagini su quello che è diventato il processo sul patto scellerato tra mafia e Stato. Non basterebbero mille pagine per contenere gli insulti, spesso anche violenti, riversati sui pm che investigano sulla trattativa: Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia, Francesco Del Bene e Vittorio Teresi (Antonio Ingroia in primis).
Per comprendere il tenore di questi attacchi basta rileggere la principale qualifica gettata addosso a quei magistrati che hanno osato mettere alla sbarra un sistema di potere criminale. “Eversori della Costituzione”, sono stati definiti da un coacervo di politicanti, giornalisti e pseudo intellettuali. Le macerie che restano oggi sono quelle della delegittimazione, dell’isolamento e dello sfiancamento psicologico. Dopo mesi e mesi di lettere minatorie contro specifici magistrati, di incursioni nelle loro case e di violazioni dei loro uffici (ultimo caso quello del Procuratore Generale Roberto Scarpinato), il “palazzo dei veleni” ripropone l’antico cliché già sperimentato ai tempi di Falcone, Borsellino e ancora prima: invidie, gelosie, maldicenze, sospetti e pugnalate alle spalle.

Lo spirito del “coccodrillo”, che prima azzanna la sua preda e poi piange, è in agguato dentro e fuori questo edificio, pronto a compenetrare chi si siederà nelle prime file al prossimo funerale di Stato. Dalla Procura non intendono commentare l’ordinanza del Presidente della Corte di Assise, Alfredo Montalto. Ma quello che traspare è comunque un profondo senso dello Stato che impone loro di andare avanti nella ricerca della verità sul biennio stragista ‘92/’93. In un altro Paese questi magistrati sarebbero stati sostenuti dalle istituzioni, dalla politica e dalla stampa. In Italia sono costretti a difendersi dal fuoco incrociato. E soprattutto dal fuoco amico. Ecco allora che il titolo di un altro film, questa volta interpretato nel 1991 da Jodie Foster e Anthony Hopkins, ci aiuta a ritrovare la sintesi di una guerra a senso unico che si sta consumando davanti ad un Paese anestetizzato. Ed è proprio “il silenzio degli innocenti” quello che ferisce maggiormente. Che va oltre la violenza delle parole gridate o scritte contro il pool. Il silenzio di ex magistrati prestati alla politica, degli intellettuali, del Csm e dell’Anm di fronte allo stravolgimento della realtà. Ma davvero questo processo fa così tanta paura da indurre al silenzio chi avrebbe tutta la legittimità per entrare nel merito e ristabilire la verità dei fatti? Lo chiediamo innanzitutto al Presidente del Senato, Piero Grasso, al  Presidente dell'Autorità Nazionale Anticorruzione, Raffaele Cantone, al Presidente della Commissione presso palazzo Chigi che si occupa di norme e procedure contro la criminalità organizzata, Nicola Gratteri, al senatore Pd Felice Casson e a tutti coloro che inspiegabilmente tacciono. “Non ho paura delle parole dei violenti, ma del silenzio degli onesti”, disse tanti anni fa il premio Nobel per la pace, Martin Luther King, prima di essere ammazzato. A futura memoria.

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