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di AMDuemila - 22 settembre 2014
Catania. Estorsioni, soprattutto con la tecnica del 'cavallo di ritorno', il 'pizzo' per la restituzione delle refurtiva al legittimo proprietario. Sono le attività dell'associazione criminale che operava a Randazzo, sgominata dai carabinieri della locale compagnia e del comando provinciale di Catania (otto gli arrestati). Il gruppo al centro dell'inchiesta, denominata Trinacium, dall'antico nome di Randazzo, della Direzione distrettuale antimafia della Procura del capoluogo etneo è quello dei Ragaglia, legato alla 'famiglia' Laudani, che prende il nome dal suo capo, Claudio Ragaglia (in foto), 45 anni, chiamato dai suoi affiliati il 'direttore' e affiancato dal fratello Antonino Salvatore, di 52 anni. Arrestati anche Giuseppe Cartillone, di 42 anni, Giuseppe Minissale, di 51, e Luigi Virgilio, di 33. Il Gip ha disposto gli arresti domiciliari per Samuele Rosario Lo Castro, di 29 anni, già detenuto a Palermo per altra causa, Paolo Rombes, di 57 anni, e Antonio Salvatore Sapiente, di 48, ma altri due indagati sono attualmente irreperibili.
I Ravaglia si erano riorganizzati in poco tempo. Molti degli affiliati sono stati già condannati per associazione mafiosa con operazioni degli anni '90 e dei primi anni 2000, e usciti dal carcere solo nel 2009. Il gruppo aveva dimostrato notevoli capacità "diplomatiche", in quanto per detenere il pieno controllo di Randazzo era riuscito a mantenere "accordi" anche con i clan attivi nelle zone limitrofe.
"Le indagini dei carabinieri - ha dichiarato il procuratore Giovanni Salvi - hanno permesso di evidenziare il tentativo della cosca di assumere il controllo del territorio, oltre che col controllo di ogni attività illecita anche mediante l'accurata gestione dei rapporti con altri gruppi criminali limitrofi. Ma l'operazione ha posto fine a tutto questo". "E' importante dire - ha quindi aggiunto - che questa operazione dimostra la nostra capacità di intervento anche nei clan che operano nelle zone della provincia di Catania e non solo in città". Operazioni che, secondo il comandante provinciale dei carabinieri di Catania, il colonnello Alessandro Casarsa, "depotenziano la mafia e danno fiducia ai cittadini che sanno di potere contare sulle Istituzioni".
Particolare violenza contraddistingueva il gruppo, che ricorreva alla forza intimidatrice del clan, specie in occasione del recupero delle somme concesse ad usura, tanto che, in uno degli episodi contestati, la vittima è stata sequestrata, obbligata a salire in auto e, una volta condotta in un casolare, legata, picchiata e minacciata di morte con una pistola.
Fonte ANSA