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pizzurro-emilio-palazzotto-gregorio-c-studiocameraFotogallery INTERCETTAZIONI/ARRESTI
di Aaron Pettinari - 23 giugno 2014

Oltre novanta gli arresti, in manette Girolamo Biondino
Dalle prime ore del mattino è in corso a Palermo l'operazione “Apocalisse” che vede impegnati Carabinieri, Polizia di Stato e Guardia di Finanza. I numeri sono impressionanti con 95 persone raggiunte da provvedimenti restrittivi, appartenenti ai mandamenti mafiosi di San Lorenzo e Resuttana con l'accusa di associazione mafiosa, estorsione e altri reati.

Le indagini, condotte da un pool di magistrati composto dai sostituti Francesco Del Bene, Amelia Luise, Gaetano Paci. Annamaria Picozzi, Dario Scaletta e dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi, hanno permesso di ricostruire il nuovo organigramma dello storico mandamento mafioso alla periferia occidentale della città. Gli investigatori hanno individuato capi e gregari, accertando numerose estorsioni praticate in modo capillare e soffocante da cosa nostra ai danni di imprese edili ed attività commerciali del territorio e riscontrando un diffuso condizionamento illecito dell'economia locale.

Girolamo Biondino a capo del mandamento
A capo del mandamento di San Lorenzo-Tommaso Natale secondo le indagini c'era lui: Girolamo Biondino, fratello di Salvatore, l'autista di Totò Riina. Il suo nome non era passato inosservato, qualche mese, scorrendo l'elenco degli scarcerati eccellenti presentato dalla Dia alla commissione parlamentare antimafia in visita a Palermo. Una lista tenuta in alta considerazione anche dal Viminale specie dopo che Totò Riina, dal carcere Opera di Milano, aveva lanciato veri e propri ordini di morte nei confronti del sostituto procuratore Antonino Di Matteo.
Per cercare di non finire di nuovo in carcere, Biondino faceva il pensionato, girava in autobus e non si faceva vedere in giro con altri uomini d'onore. Ma questo non ha impedito alla polizia della sezione Criminalità organizzata della squadra mobile di Palermo di intercettarlo mentre distribuiva ordini, da capomafia quale era. In particolare indicazioni chiare sulle estorsioni da compiere tra negozi e cantieri edili. Secondo gli inquirenti veniva ritenuto come uno dei capimafia più autorevoli di Palermo. Ad aprile, Biondino era stato arrestato per scontare un residuo di pena di due anni: gli era stato notificato un soggiorno in una casa di lavoro. Questa mattina però i poliziotti sono intervenuti e l'hanno portato in carcere, dove è probabile che sconterà un'altra lunga condanna, per le nuove accuse di associazione mafiosa ed estorsioni.

Estorsioni e condizionamenti dell'economia locale
Le indagini, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, hanno consentito di ricostruire il nuovo organigramma dei due mandamenti. Gli investigatori hanno individuato capi e gregari, riportando numerose estorsioni praticate in modo capillare e soffocante da Cosa nostra ai danni di imprese edili ed attività commerciali del territorio e riscontrando un diffuso condizionamento illecito dell'economia locale.
I nomi dei commercianti venivano inseriti in un libro mastro chiamato “Papello”. Grazie alle intercettazioni sono state quindi registrate richieste di denaro ed i danneggiamenti di chi non paga.
Il sistema adottato era semplice: le cosche imponevano pagamenti basati sul tipo di attività che veniva esercitata. Dalla sala bingo, alle botteghe artigiane, quindi pescherie, imprese edili, sala biliardo, negozi di abbigliamento, discoteche e quant'altro. Si passava dalle poche centinaia di euro alle migliaia, mensili, a cui si aggiungevano grosse somme da versare una tantum.
In totale sono 34 le estorsioni accertate, e solo un operatore economico ha denunciato, rifiutandosi di pagare: è il titolare di una società che sta realizzando la più grande multisala della Sicilia, nell'ex fabbrica della Coca Cola di Palermo.
C'erano anche forme nuove di pizzo come quella imposta al titolare di un distributore di carburante: doveva comprare abiti e scarpe firmate in un negozio del salotto di Palermo per “regalarli” a boss e picciotti.
Tra i business più redditizi c'è poi quello delle macchinette “mangia soldi” disseminate nei bar, nelle tabaccherie e nei locali da San Lorenzo a Carini. In particolare la famiglia dei Graziano, divenuta leader del settore, avrebbero fatto affari d'oro in questo nuovo business. Altri boss si erano lanciati invece in un'azione massiccia di riciclaggio, scommettendo i proventi del traffico di droga e dalle estorsioni sulle partite di calcio dei campionati nazionali ed esteri.
Nel corso dell'operazione, inoltre sono stati sequestrati complessi aziendali per svariati milioni di euro.

LE INTERCETTAZIONI
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L'omicidio di Joe Petrosino svelato dopo 100 anni
Sempre grazie alle microspie è stato possibile svelare il nome di colui che avrebbe ucciso Joe Petrosino, tenente della polizia di New York, nel lontano 1909, che di fatto fu il primo omicidio eccellente a Palermo. Uno degli arrestati, Domenico Palazzotto 29enne del clan Arenella, si vantava della tradizione mafiosa “centenaria” della sua famiglia. “Il centenario stiamo facendo – diceva vantandosi con gli alri - Lo zio di mio padre si chiamava Paolo Palazzotto, ha fatto l'omicidio del primo poliziotto ucciso a Palermo. Lo ha ammazzato lui Joe Petrosino, per conto di Cascio Ferro”. Storia vuole che Paolo Palazzotto fu il primo ad essere arrestato per l'omicidio ma poi venne assolto per insufficienza di prove, come Cascio Ferro. Adesso il discendente di Palazzotto è uno dei nuovi capimafia di Palermo.
In carcere sono finiti anche altri esponenti della “nuova cupola di Cosa nostra”, che fanno parte dei mandamenti mafiosi di San Lorenzo e Resuttana.
Secondo gli inquirenti Palazzotto era arrivato al vertice della famiglia da qualche mese, dopo l'arresto del cugino Gregorio, titolare di una ditta di traslochi, più anziano e più esperto di lui di cose mafiose. Quest'ultimo, dal carcere, aveva aperto un profilo Facebook da dove insultava i pentiti. “Non ho paura delle manette, ma di chi per aprirle si mette a cantare”. E attraverso il social faceva rivendicazioni contro il sovraffollamento delle carceri e chiedeva l'amnistia.

I nuovi capimafia
Grazie alle indagini è stato possibile tracciare quella che era la gerarchia del clan. Sotto Biondino ci sarebbe stato Giuseppe Fricano, indicato come il reggente di Resuttana. Ed ancora, Tommaso Contino, reggente della famiglia di Partanna Mondello e Silvio Guerrera di Cardillo. A Sferracavallo si sarebbero succeduti Andrea Luparello, Giuseppe Battaglia e Gioacchino Favaloro. Vito Galatolo (altro cognome storico), Filippo e Agostino Matassa all'Acquasanta; Gaetano Ciaramitaro alla Marinella; Pietro Magrì e Gregorio Palazzotto all'Arenella. La famiglia di Pallavicino-Zen sarebbe diretta da Sandro Diele e Onofrio Terracchio. A Torretta, invece, comanderebbe Angelo Gallina.
Particolare la storia di Vito Galatolo che, dopo la recente scarcerazione, era finito a Mestre, al soggiorno obbligato. Da lì continuava a gestire la famiglia ordinando ai suoi collaboratori di venirlo a trovare per far arrivare dalla Sicilia delle splendide casse di pesce.
Del tesoro in possesso dei Galatolo ha parlato il pentito Angelo Fontana, nipote dei Galatolo: “Alla fine degli anni '90, quando le indagini si erano fatte più stringenti, i Fontana e i Galatolo decisero di spostare i loro interessi lontano dalla Sicilia. Ci spartimmo i lavori di coibentazione e di piastrellamento nei cantieri del Nord. Noi Fontana ci impegnammo a finanziare il trasferimento della Navalcoibent a La Spezia. I Galatolo puntarono invece a investire le loro ricchezze nei cantieri dell'Adriatico, in particolare a Monfalcone”.

Il raid allo Zen contro l'ex collaboratore di giustizia Gagliano
Da qualche tempo allo Zen di Palermo era tornato Raimondo Gagliano, ex collaboratore di giustizia che aveva contribuito allo smantellamento della cosca.
Una notte, i boss di San Lorenzo organizzarono una vera e propria spedizione punitiva contro l'ex pentito, con un gruppo di mafiosi che sparò all'impazzata contro il portone della sua abitazione, che si trova al piano terra di un palazzo, con il rischio di fare una vera e propria strage. Gagliano si salvò per miracolo, ma questo episodio non lo fece tornare indietro nella sua scelta di uscire dal programma di protezione era irrevocabile. Gagliano è stato poi arrestato un mese fa per due rapine messe a segno con un altro ex collaboratore di giustizia, pure lui dello Zen, Francesco Lo Nardo.
In base alle indagini condotte dai carabinieri del Reparto Operativo hanno individuato il nuovo reggente mafioso dello Zen, si tratta di Sandro Diele, le intercettazioni dicono che sarebbe stato lui a ordinare il raid contro Gagliano.

Il politico “antimafia” che comprava voti
Nell'inchiesta che ha portato il blitz di oggi è coinvolto anche un imprenditore che fu candidato alle elezioni comunali del 2012, nella lista dell'Udc. Si tratta di Pietro Franzetti, indagato per corruzione elettorale aggravata con la Finanza che gli ha notificato un provvedimento di divieto di dimora a Palermo (la procura chiedeva l'arresto). Secondo l'accusa avrebbe acquistato 1.500 voti dal clan mafioso dell'Acquasanta, pagando quasi 10 mila euro. Anche se poi Franzetti ha preso soltanto 308 voti, risultando non eletto al consiglio comunale: un'intercettazione lo riprende comunque mentre si accorda con Francesco Graziano, figlio di Vincenzo, boss storico di Cosa nostra.
Ma a far ancor più scandalo è che Franzetti si presentava come imprenditore antiracket, aveva addirittura denunciato delle intimidazioni e nei giorni scorsi, aveva organizzato un flashmob a Montecitorio per chiedere la revoca del vitalizio ai politici condannati per mafia.

In foto: Un bacio in bocca tra i boss Gregorio Palazzotto ed Emilio Pizzurro, ripreso da una telecamera nascosta del nucleo speciale di polizia valutaria. E poi centinaia di intercettazioni in cui si parla di traffici e affari. L'ultima operazione della procura di Palermo svela gli ultimi segreti di Cosa nostra, fra vecchi e nuovi riti mafiosi (salvo palazzolo, foto © studiocamera)

GLI ARRESTATI DELL'OPERAZIONE

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AIELLO EPIFANIO


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