di AMDuemila - 17 giugno 2014
E' durata appena quattro ore la Camera di consiglio dei giudici della quinta sezione del Tribunale di Palermo dopodiché è stata emessa la sentenza di condanna a otto anni e due mesi nei confronti dell'ex deputato regionale di Grande Sud, Franco Mineo (in foto).
A nulla è valso l'appello dello stesso ex politico, presente in aula, che aveva ancora una volta proclamato la propria innocenza.
Di fatto è stata accolta la richiesta dell'accusa, rappresentata dai pm Pierangelo Padova e Dario Scaletta.
A Mineo sono stati inflitti cinque anni, per intestazione fittizia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra (che poi è la stessa condanna inflitta ad Angelo Galatolo, rampollo della famiglia dell’Acquasanta, di cui Mineo sarebbe stato prestanome) e tre anni e due mesi per peculato in quanto, secondo l'accusa, avrebbe usato in maniera spregiudicata l'auto del Comune, tra il 2007 ed il 2008 (nel periodo in cui era assessore ai Mercati). Per quanto riguarda il reato di usura l'ex esponente di Grande Sud è stato assolto, così come chiedeva la procura.
Prescritta la malversazione in concorso tra Mineo e l'ex presidente della Onlus Caput Mundi Settimo Trapani: secondo l'accusa i finanziamenti destinati alla fondazione sarebbero stati usati per le spese elettorali di Mineo.
L'indagine nasce dalla perquisizione fatta nello studio commerciale Franzone che aveva tra i suoi clienti la famiglia Galatolo. Due titolari dello studio Domenico e Filippo rischiano l'inchiesta per falsa testimonianza. Il Tribunale ha infatti deciso di inviare gli atti in procura. Nel corso della perquisizione gli inquirenti trovarono un passaggio di proprietà che provava la compravendita di alcuni immobili in cui, sotto al nome dell'acquirente, c'era scritto: "Compra Angelo G.". Le visure catastali hanno dimostrato che i locali erano di proprietà di Mineo, una circostanza che ha convinto la Dia che l'ex parlamentare aveva in realtà acquistato per conto di Galatolo, a cui durante il processo è stata contestata anche l'associazione mafiosa, da cui poi è stato assolto “per non aver commesso il fatto”. Dopo le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia ascoltati in dibattimento e in particolare di Angelo Fontana, gli investigatori avevano ritenuto infatti che l'imputato, mentre i componenti della sua famiglia erano in carcere, si occupava di tenere la cassa del mandamento e di incassare i proventi delle estorsioni. Accusa respinta dal collegio. Infine il tribunale ha stabilito che Mineo e Galatolo siano «interdetti in perpetuo dai pubblici uffici e in stato di interdizione legale durante l’espiazione della pena».