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arrestati-mandamentonocedi Francesca Mondin - 11 dicembre 2013 - VIDEO
Il due novembre scorso, nelle strade del quartiere Noce di Palermo, in pieno giorno, un commerciante è stato picchiato ferocemente da un gruppo di uomini, ad ordinare l'agguato il boss Giuseppe Castelluccio. L'uomo era colpevole di essersi rifiutato di pagare il pizzo e di aver minacciato il boss stesso di denunciare l'estorsione alla polizia.
A nulla però è servita l'intimidazione che, anzi, ha spinto il commerciante a denunciare realmente l'accaduto alle forze dell'ordine che subito hanno avviato le indagini scaturite nell'operazione di ieri  “Agrion”. Il blitz eseguito dagli agenti della mobile di Palermo della sezione Criminalità organizzata, ha portato all'arresto di otto esponenti del clan  Noce, implicati direttamente e indirettamente nel  pestaggio,  con l'accusa di tentato omicidio, estorsione, associazione mafiosa ed altri reati.

Dietro le sbarre è finito anche il nuovocapomafia della Noce, Giuseppe Castelluccio, salito al potere in seguito  agli arresti che hanno colpito il mandamento negli ultimi anni.
Assieme al boss sono finiti in carcere: Carlo Russo (intermediario della tentata estorsione), Giovanni Buscemi (anche lui intermediario), Marco Neri 8accusato di tentato omicidio), Angelo De Stefano (tentato Omicidio), Massimiliano Di Majo (l'autore materiale del pestaggio), il marocchino Chercki El Gana (tentato omicidio) e un minorenne (anche lui ha preso parte all'aggressione).

Dall'avvio della propria attività, il negoziante non aveva seguito il solito 'iter mafioso' che prevede l'autorizzazione di Cosa nostra prima di aprire un negozio.  “Quando a settembre ricevetti la richiesta di pizzo mi rivolsi a un conoscente della zona per non pagare- racconta la vittima - il giorno dopo, mi disse che era riuscito a farmi avere uno sconto. Ma io non volevo proprio pagare. E lui replicò: 'Il tuo comportamento non poterà a niente di buono'. Mi mandò da un'altra persona, a cui ribadì il concetto: io non pago e vado pure a denunciare". Per convincere l'uomo, si presentò lo stesso capomafia: "Mi contestò il fatto che una persona che era stata in carcere non avrebbe dovuto rivolgersi
alla polizia. - Continua il negoziante - Io risposi che avevo deciso di cambiare vita e bluffando urlai che ero già andato alla polizia per denunciare. 'Se non te ne vai subito' gli dissi in maniera chiara 'faccio subito intervenire il 113". Di li a pochi giorni si verificò l'azione punitiva: "Mi trovai davanti un giovane di 18 anni che mi diceva: 'Sei uno sbirro'. Non feci in tempo a rispondere a quella provocazione, fui colpito con una violenta testata in faccia. Poi, dieci minuti dopo, vidi arrivare davanti al mio negozio quel giovane e altre cinque persone. Iniziarono a urlare, mi picchiavano. Dicevano: 'Sei cornuto e sbirro'. Ricevuto il primo colpo, all'occhio, sono caduto per terra e non ho avuto la possibilità di reagire; ho cercato soltanto di proteggermi la testa ed il volto con le braccia, perché quel giovane continuava a colpirmi ripetutamente e con furia alla testa, utilizzando un martello. Intanto, percepivo anche i calci che mi sferravano altre persone. Ho temuto per la mia vita, per quei colpi con il martello". L'unico ad intervenire in sua difesa fu il cognato. Ma anche costui venne picchiato violentemente tanto da subire una frattura al cranio e al setto nasale. Solo in seguito al pestaggio la vittima trovò il coraggio di denunciare tutto, in modo da difendere anche la propria famiglia.
Una vicenda dai tratti drammatici, ripresa dalla telecamera di sorveglianza del negozio, che forse si sarebbe potuta evitare se il commerciante si fosse rivolto prima alla polizia.  A riguardo  il procuratore aggiunto Vittorio Terresi, coordinatore dell'inchiesta assieme ai sostituti procuratori Francesco Del Bene, Amelia Luise e Gianluca De Leo, ha dichiarato: “Abbiamo condizioni di eccellenza investigativa tale che chiunque denunci una realtà di estorsione può avere la certezza che nel giro di poche settimane riusciamo ad assicurare alla giustizia gli estorsori”  - e ancora - “se non si denuncia il dubbio è che non lo si faccia non per paura ma per un intimo sentimento di condivisione” - continua - “Invece invito tutti quelli che hanno realmente questo sentimento di paura a liberarsene e denunciare, perché possiamo garantire un successo investigativo giudiziario in pochissimo tempo.”
L'episodio fa riflettere, se da una parte la Mafia con questa azione ha confermato la sua ferocia e ha voluto  trasmettere che nulla è cambiato, che ancora comanda lei e che il pizzo va pagato, dall'altra  come ha affermato, il procuratore capo di Palermo, Messineo: "Un episodio come questo in cui la vittima trova la forza di ribellarsi e addirittura di contestare ai suoi estorsori, trova la forza di sfidarli a viso aperto ci dice comunque che la mafia non è più onnipotente come una volta”.
“Ovviamente - prosegue il procuratore capo - più aumenta il tasso alla ribellione, tanto più Cosa nostra deve ricorrere a modalità violente. Serviva una lezione pubblica da non lasciare dubbi sulla sorte di chi si è ribellato”. - Francesco Messineo ha quindi concluso: "La pratica del pizzo non è più accettata supinamente come prima, rispetto a una mafia che non aveva bisogno di fare nulla per avere il pizzo".



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