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bongiorno-gregory-webIn tre finiscono in manette nel regno di Messina Denaro
di Miriam Cuccu - 6 settembre 2013
La mafia era tornata a bussare alla porta della Agesp spa, l’azienda che Gregory Bongiorno (foto), presidente della Confindustria Trapani, aveva ereditato dal padre nel 2005. Dopo aver pagato tra il 2005 e 2007 due tranche rispettivamente di 10mila e 5mila euro, all’ennesima richiesta Bongiorno ha sporto denuncia contro i suoi estorsori raccontando le pressioni di cui è stato oggetto. Pressioni a cui si era precedentemente piegato il padre, Vincenzo Bongiorno, assassinato nel 1989 per un regolamento di conti nella famiglia mafiosa locale: nonostante abbia sempre avuto la fedina penale pulita veniva considerato vicino all’entourage mafioso trapanese. Qui, dove rimane ad oggi imprendibile il latitante Matteo Messina Denaro, nessuno aveva mai osato aprire bocca contro gli esattori del pizzo.
A seguito della denuncia la Squadra Mobile di Trapani, per ordine dei pm della Dda di Palermo Principato e Marzella, sono scattate le manette per Gaspare Mulè e Fausto Pennolino, rispettivamente di 46 e 51 anni, entrambi sorvegliati speciali, e per il capomafia 63enne Mariano Asaro, già detenuto nel carcere di Sulmona. Tutti accusati di estorsione e tentata estorsione aggravate dalla modalità mafiosa.

Il presidente di Confindustria Trapani ha raccontato che a Pasqua del 2007 venne portato da Fausto Pennolino davanti al boss Mariano Asaro, che gli avrebbe spiegato il modo in cui doveva essere consegnato il denaro da lì in avanti. Poi più nulla: la Dia aveva fatto scattare una maxi operazione nella quale erano rimasti coinvolti anche i tre presunti estorsori. La scorsa estate Mulè, appena uscito dal carcere, si sarebbe rifatto vivo per riscuotere i 10mila euro annuali insieme agli “arretrati” degli anni precedenti, durante i quali si erano astenuti dal batter cassa perchè “abbiamo avuto rispetto per la salute di tua madre”, gravemente malata e in seguito deceduta. Per un totale di 60mila euro. A quel punto è stata sporta la denuncia. ''E' la prima volta, nel trapanese, che un imprenditore, vittima del racket, spontaneamente, formalizza una denuncia contro gli estorsori'', ha detto il capo della Squadra mobile di Trapani, Giovanni Leuci.
Secondo quanto scoperto dall’inchiesta la vera mente che si celava dietro alle richieste di estorsione era Mariano Asaro, che fu per dieci anni - dal 1995 al 2005 - reggente della famiglia mafiosa di Castellammare del Golfo. Il suo nome compare tra gli iscritti della loggia Iside 2 a Trapani e in molte inchieste su mafia e servizi deviati e su quelle di alcune stragi, da Pizzolungo nel 1985 alle stragi del ’92 e ’93. Nel 2007 venne arrestato nel corso dell’operazione Breton insieme a Mulè e Pennolino: dopo essere stato inizialmente condannato a 8 anni e 4 mesi è sopraggiunta una seconda condanna a 15 anni che sta tuttora scontando.
''Quello di Gregory Bongiorno, sul quale non ho mai avuto dubbi, non è un gesto eroico, ma un atto di estremo coraggio: era cosciente che sarebbe cambiata la sua vita perché a Trapani chi denuncia rischia di essere ammazzato'' ha dichiarato Antonello Montante, leader di Confindustria Sicilia. Montante, insieme a l vicepresidente di Confindustria Ivan Lo Bello e al procuratore di Caltanissetta Sergio Lari, erano stati i destinatari nel 2010 di una grave intimidazione mafiosa consistente in tre buste con alcuni proiettili.
''Si parla troppo di professionisti dell'antimafia – ha continuato Montante – è una definizione che sta girando come qualche tempo fa. Una cosa è il concetto che esprimeva Sciascia, un'altra è affibbiare questo termine a chi rischia la vita, il vero obiettivo di chi spesso usa questo linguaggio è delegittimare e disincentivare le denunce''. ''Se fossi un magistrato aprirei un fascicolo per capirne di più – ha aggiunto – Ci sono segnali chiari che la mafia, quella dei colletti bianchi, sta rialzando la testa''.
“La denuncia di Gregory Bongiorno – ha precisato Lo Bello – è la dimostrazione che il codice etico di Confindustria (attraverso il quale vengono esclusi dall’associazione coloro che non denunciano, ndr) funziona. Oggi gli imprenditori denunciano perché sanno di non essere più da soli'' grazie anche alla presenza di movimenti come Addio Pizzo e Libero Futuro.
Resta il fatto che, a fronte di poche centinaia di denunce, sono ancora molti gli imprenditori che accettano il servizio di protezione offerto da Cosa nostra, non solo per paura ma anche per convenienza perché, come sostiene il pubblico ministero Teresa Principato: “Il pizzo è ancora oggi per l’imprenditore la garanzia di non subire furti, danneggiamenti o anche altri problemi nell’attività di ogni giorno dei cantieri. Una garanzia che diventa quasi una forma di complicità, di collusione”. A 22 anni di distanza dalla morte di Libero Grassi, uno dei primissimi ad aver opposto un fermo rifiuto al racket, c’è ancora molto lavoro da fare.

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