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dalla-chiesa-carlo-albertoEra custodita nei sotterranei della Procura, ma non si trovano i documenti
di Aaron Pettinari - 27 aprile 2013
Nascosta negli angoli remoti dei sotterranei della Procura di Palermo. Così è stata ritrovata dopo 31 anni la valigetta di pelle che il generale Carlo Alberto dalla Chiesa aveva con sé il giorno in cui fu ucciso a Palermo, il 3 settembre 1982, assieme alla giovanissima moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo. A parlarne è il quotidiano La Repubblica.

Le ricerche della stessa erano partite dopo che lo scorso autunno un anonimo (probabilmente un carabiniere ben informato sui fatti) aveva inviato al pm Nino Di Matteo un documento, denominato “Protocollo Fantasma”, in cui venivano indicati 22 punti su cui compiere delle indagini. Tra questi si invitava proprio a ricercare la valigetta del generale. “C’erano dentro documenti relativi a indagini svolte personalmente dal prefetto e una lista di nomi scottanti – scriveva l'anonimo che poi aggiungeva - Un ufficiale dei carabinieri ha messo al sicuro la valigetta”.
Della borsa si parla anche nel verbale di sopralluogo della polizia scientifica, avvenuto pochi minuti dopo l'attentato, conservato nel fascicolo giudiziario sulla strage di via Carini, in cui viene scritto che il generale tiene sulle gambe una borsa piena di carte. “Altri fogli legati da un elastico — prosegue il verbale — sono rinvenuti sotto il sedile lato guida”. In un secondo verbale del 6 settembre con una lettera di trasmissione della squadra mobile di Palermo alla Procura della Repubblica si parla della borsa del prefetto, senza però fare alcun cenno ai documenti.
E nei giorni scorsi la valigetta è stata ritrovata in Procura, vuota, e dei documenti di cui si parla nel primo verbale non vi è traccia neanche nello scatolone in cui sono archiviati “i corpi di reato”. I pm Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia, Francesco Del Bene e Vittorio Teresi vogliono vederci chiaro e proseguono con le indagini.
Se da una parte sono stati condannati mandanti (Totò Riina, a Bernardo Provenzano, a Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci) ed esecutori mafiosi di quel delitto (Vincenzo Galatolo e Antonino Madonia entrambi all'ergastolo, Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci), dall'altra dietro la morte del generale sono tanti gli interrogativi che restano aperti. E di questi interrogativi i documenti scomparsi dalla valigetta in pelle sono solo l'ultima traccia. Non si deve infatti dimenticare che già la notte tra il 3 ed il 4 settembre 1982 nella residenza privata del prefetto qualcuno aprì la cassaforte nella stanza da letto del generale, ripulendola completamente di ogni suo contenuto.

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