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carabinieri-web1Operazione Mandamento, le intercettazioni che raccontano la nuova mafia di Messina Denaro. Angelo e Sacco, “i compari del boss”
di Rino Giacalone - 8 dicembre 2012
La mafia dentro le istituzioni. Non ci sono dubbi che le cose stanno messe in questa maniera. Santo Sacco, sindacalista della Uil fino all’anno scorso, titolare di un patronato, non è la prima volta che finisce in rapporti giudiziari ma fino a 48 ore fa quando è finito in manette nell’operazione antimafia “Mandamento”, condotta dai Carabinieri di Trapani e coordinata dalla Dda di Palermo, l’aveva fatta franca. Sebbene su di lui gravavano sospetti pesanti addirittura quelli di avere partecipato alla guerra di mafia di Alcamo dei primi anni ’90.

Lo aveva riconosciuto il pentito di mafia Santino Di Matteo (il papà di Giuseppe ucciso per vendetta dagli animali assassini mafiosi), lo aveva riconosciuto in foto dicendo che lo aveva visto accompagnare Matteo Messina Denaro, attuale super latitante, ad Alcamo a casa dei Ferro dove si preparò uno degli attentati contro i clan avversi a quelli che comandavano nell’alcamese. Già alcuni anni addietro il pentito di Alcamo Vincenzo Ferro lo aveva indicato come terminale belicino per la raccolta dei pizzini. Ferro (per il quale Santo Sacco si sarebbe interessato “tramite un influente personaggio di Salemi” e su indicazione di “Matteo Messina Denaro”, per farlo assumere in un corso di formazione professionale) dichiarò che a lui non risultava che Sacco sapesse qualcosa di più su quei pizzini che venivano portati nel suo ufficio al sindacato nella sede di Castelvetrano, però colse che qualcosa Sacco la poteva sapere se ogni volta gli chiedeva notizie del padre, Giuseppe, antico capo mafia di Alcamo. Santo Sacco stesso non aveva nascosto il suo essere sotto controllo, pubblicamente un giorno raccontò di un interrogatorio subito dal giudice Giovanni Falcone, quasi irridendo quel momento chiosò “con tono sprezzante e con giudizi assai pesanti sul magistrato (si legge sull’ordinanza), dicendo tra l'altro che gli aveva raccontato solo quello che aveva ritenuto opportuno riferire".

Stavolta forse non basta la solita espressione di compiacimento e solidarietà che è arrivata a magistratura e forze dell’ordine dal presidente del Consiglio provinciale di Trapani, Peppe Poma, uno dei primi sempre a parlare dopo l’esecuzione di qualsiasi provvedimento restrittivo in materia di lotta alla mafia. Come non basta la presa di posizione dell’ex sindaco di Castelvetrano, Gianni Pompeo, che, come ha fatto notare più di qualcuno, dopo 10 anni di sindaca tura oggi dinanzi all’arresto di Santo Sacco, uno dei consiglieri comunali che sedevano in aula quando lui era primo cittadino della città belicina, chiede che si apra un serio dibattito sul nodo mafia, politica e imprenditoria. Non basta tutto questo se l’attuale sindaco di Castelvetrano, Felice Errante appena pochi giorni addietro ha ripetuto intervistato da un settimanale locale, Social, ciò che va dicendo da quando è stato eletto e cioè che “Messina Denaro non è il principale dei problemi” ma all’esito dell’operazione “Mandamento” appena eseguita dai carabinieri sembra proprio il contrario se il retroscena del blitz è quello che dimostra ancora una volta la capacità della nuova mafia di Messina Denaro di intercettare attraverso politici e imprenditori compiacenti flussi di denaro pubblico, come quelli destinati alle energie alternative.

E’ malmesso il Consiglio provinciale e poco conta se le malefatte che avrebbe commesso il consigliere Santo Sacco risalgono a quando era consigliere comunale a Castelvetrano. Sacco sedeva, per volere del Consiglio, nella commissione lavori pubblici, in quella commissione dove fino a quando il prefetto non lo ha sospeso sedeva anche un altro finito nei guai con la giustizia, l’alcamese Pietro Pellerito condannato a sei anni in primo grado e a tre in secondo grado per falso, per avere favorito un imprenditore mafioso, Pellerito è anche sottoposto alla sorveglianza speciale. Nella prima fase processuale Pellerito era difeso dall’avv. Baldassare Lauria che all’epoca era assessore….alla legalità. In Consiglio provinciale poi continua a sedere Andrea Burzotta nipote di Diego, mazarese, in carcere anche per avere partecipato all’attentato nel 1992 contro l’allora commissario di Mazara Rino Germanà. Andrea Burzotta, a parte avere avuto il padre arrestato e assolto, non è stato mai coinvolto in nulla, per questioni familiari ha subito la confisca della quota di un bene posseduto, ma è risultati estraneo ad ogni responsabilità, certo non lo si è mai sentito parlare in modo acceso dei problemi della terra trapanese. L’elenco potrebbe essere ancora più lungo, ma solo per via di sospetti o sussurri con i quali certo non si possono scrivere cronache giornalistiche (c’è anche un capitolo che riguarda l’attuale presidente del Consiglio Peppe Poma che anni addietro fu indagato nell’ambito di una indagine mafia e politica ma la posizione fu archiviata durante le stesse indagini), vale la pena tornare anche indietro quando consigliere provinciale era Vito Panicola, politico della Dc, consuocero del patriarca della mafia belicina Francesco Messina Denaro, morto di un male incurabile in carcere dove scontava l’ergastolo per avere ucciso il figlio…per sbaglio, tutti e due infatti avevano avuto l’ordine dai Messina Denaro di eliminare un personaggio scomodo, Giovanni Ingrasciotta ma al momento della esecuzione Panicola sbagliò bersaglio. Ingrasciotta rimase vivo e oggi collabora con la giustizia.

 Le intercettazioni dell’operazione “Mandamento” hanno smascherato il politico che fuori dai consessi pubblici non andava tanto per il sottile. Tra gli episodi contenuti nell’ordinanza quello che avrebbe chiesto dall’imprenditore di Salemi Melchiorre Saladino 100 mila euro perché potesse convincere i colleghi consiglieri comunali di Castelvetrano a votare una delibera relativa ad un insediamento di impianto eolico al quale Saladino (tratto in arresto un paio di anni addietro proprio per affari tra mafia e impianti eolici) era interessato. Incontrò le resistenze di Saladino che lui affrontò in modo diretto più da mafioso che da politico. “Minzione questa presa in giro ve la faccio finire subito… a te, all'ingegnere, a tuo figlio e tutti quanto cazzo siete ci siamo capiti? stai attento Melchiorre!

E così perché “Minzione” Saladino capisse bene l’aria che tirava le intercettazioni dei carabinieri hanno registrato una azione criminosa di intimidazione messa in atto proprio da Santo Sacco assieme ad un altro soggetto, Girolamo Murania. Sono stati ascoltati e seguiti con i sistemi satellitari, Sacco è arrivato presso un deposito agricolo di Castelvetrano, lì veniva preparato un rudimentale ordigno con una bottiglia nella quale versavano della nafta; quindi, sempre a bordo dell'autovettura di Sacco si recavano a Menfi dove si mettevano alla ricerca dell' autovettura di Saladino e, una volta trovata collocavano l’involucro nei pressi dell’auto, recapitando così il “segnale minaccioso”. Le intercettazioni parola per parola hanno catturato lo svolgersi di tutta l’azione: “…,stu cantaru docu ...una testa di un vitello gliela devo far trovare la davanti, pezzo di

merda, gli devo far ricordare ... Gli ho detto il mio nome te lo faccio ricordare ogni minuto, gli ho detto finché campi, stai attento…iniziamo a dare qualche segnale giusto perché qua non ci capiamo più… accussì niavutri subito subito cominciamu, ci cominciu a fare capire chela minchia un mi l 'ava a rumpiri” Sacco che nei giorni scorsi invece parlando pubblicamente a proposito della paventata soppressione della sezione staccata del Tribunale di Marsala a Castelvetrano, prospettando un forte senso di legalità aveva dichiarato: «Il tribunale a Castelvetrano non va soppresso, perchè rappresenta un forte segnale di presenza di legalità nel territorio e di lotta alla mafia. La soppressione di questo importante presidio di legalità, lancia alla criminalità organizzata un segnale di debolezza da parte dello Stato e potrebbe favorire il potere mafioso da tempo consolidato a Castelvetrano». Potere del quale lui avrebbe fatto coscientemente parte tanto che nelle intercettazioni ad un certo punto è stato sentito chiedere ad un interlocutore “chi avesse preso il posto di Filippo” riferendosi a Filippo Guttadauro, il cognato di Matteo Messina Denaro, che un paio di anni addietro finì in cella riconosciuto nei pizzini trovati a Provenzano come il numero 121, uno degli estortori della mafia belicina.

Le intercettazioni dell’operazione “Mandamento” hanno anche colto altri momenti di forte nervosismo, come se dentro Cosa nostra nel Belice ci siano tensioni tali da fare pensare a qualcuno di camminare armato. E’ il caso dell’imprenditore di Salemi Salvatore Angelo, altro personaggio centrale dell’operazione “Mandamento”. E’ stato ascoltato dagli investigatori dell’Arma a discutere con una persona, tale Rosario Benvenuto, al quale svelava che "ci sunnu mali facenne per ora, perciò uno deve stare ... sempre messo ... con due piedi in una scarpa ... ". Distintamente chi ascoltava ha sentito Angelo che porgeva una pistola al suo interlocutore e gli chiedeva di riporla in un certo posto: "te', mettimi duocu la pistola". Salvatore Angelo nel contesto delle indagini è quello che ha il compito di portare sotto il controllo di Cosa nostra trapanese l’”affare” delle “biomasse” (impianto da creare nel catanese), a disposizione di Angelo ci sono imprenditori danesi, lui stesso è stato sentito parlarne con un anziano capo mafia di Gibellina, Vincenzo Funari: “cu sti danes (Baltic wind ndr) la cosa è lunga è una cosa statale una cosa importantissima, la sto seguendo mi deve credere come un figlio,  cento cristiani ci vanno impiegati docu… le biomasse sono importanti trent 'anni ci si può campare, basta che imposto tutti i miei figli”.Angelo parlava continuamente di affari da concludere e comune denominatore di ogni discussione era una percentuale da garantire ad un “compare Matteo”. Indubbiamente si tratta di Matteo Messina Denaro, a tradirsi è stato proprio Salvatore Angelo: “Matteo è un grande amico mio, ma io con Matteo un ci posso iri…capiscimi!”.

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