di Monica Centofante - 26 luglio 2012
No all'audizione di Silvio Berlusconi al processo d'appello contro il senatore Marcello Dell'Utri, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa. E no alle altre richiesta del Pg Guido Patronaggio che puntava a fare luce sulle tante zone d'ombra che caratterizzano la nascita di Forza Italia e il ruolo dell'imputato negli anni bui delle stragi e delle trattative tra lo Stato e Cosa Nostra.
Lo ha deciso ieri la Corte d'Appello presieduta da Raimondo Lo Forti attenendosi ai criteri fissati dalla Corte di Cassazione che lo scorso 9 marzo ha annullato con rinvio la prima sentenza d'appello con la quale il politico del Pdl era stato condannato a 7 anni di reclusione. La deposizione di Berlusconi, si legge nel'ordinanza dei giudici, "non appare né indispensabile né tantomeno decisiva". I soldi versati negli anni a Cosa Nostra, gli attentati subiti, i rapporti con l'imputato e le ragioni della presenza di Vittorio Mangano nella villa di Arcore, sottolineano i giudici, "risultano infatti assolutamente comprovati nel processo, avendone riferito i numerosi collaboratori di giustizia e, in parte, lo stesso Dell'Utri, nonché emergendo da talune conversazioni oggetto di intercettazioni". Superfluo, quindi, ascoltare l'ex premier sottolineano i giudici che rigettano anche la richiesta di audizione dei collaboratori di giustizia Di Carlo, Ganci, Anzelmo, Ferrante, Galliano e Cucuzza oltre che l'acquisizione di una serie di documenti. Tra questi la conversazione intercettata tra Massimo Ciancimino e la sorella Luciana, nella quale i due interlocutori fanno riferimento ad un assegno di 35 milioni di lire dell'onorevole Berlusconi custodito "nella vecchia carpetta di papà". E tutte le intercettazioni effettuate nel procedimento nei confronti del boss Vito Roberto Palazzolo, della sorella Maria Rosaria Palazzolo e dell'imprenditrice milanese Daniela Palli, che avrebbe aiutato l'uomo d'onore, allora latitante, a stabilire un contatto con il senatore con il probabile intento di risolvere i suoi problemi giudiziari.
Accolta invece la richiesta di riaprire il dibattimento per ascoltare Giovanni Salvatore Scilabra, l'ex direttore della Banca Popolare di Palermo, che ha raccontato di aver ricevuto nel 1987 una visita di Vito Ciancimino e Marcello Dell’Utri, i quali gli avrebbero chiesto, senza riuscire ad ottenerlo, un prestito di 20 miliardi delle vecchie lire per le aziende di Silvio Berlusconi. Le circostanze sulle quali Scilabra dovrebbe deporre, ha decretato la Corte, sono "effettivamente indispensabili perché eventualmente dimostrative di rapporti personali ed interessi riferibili all'imputato nel contesto temporale di interesse".
Ammessa anche una nuova audizione del collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, ma solo per i fatti antecedenti al 1992.
Il processo è stato rinviato al 3 ottobre.