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la torre pio web0Solo lui può raccontare ai magistrati di quei documenti riservatissimi in possesso di La Torre”.
di Nicola Biondo - 17 giugno 2012
Intervista all'avvocato Armando Sorrentino
Lo sguardo di Armando Sorrentino è mobile e vivacissimo. A volte dolente: come se la conoscenza di fatti, nomi, intrecci e inganni, in terra di mafia, nel Paese delle stragi, lo inchiodi a ragionamenti inesprimibili solo a parole.

Dirigente politico, avvocato di parte civile per il Pci-Pds nel processo per l’omicidio di Pio La Torre e il suo uomo ombra Rosario Di Salvo, studioso e libero battitore della sinistra siciliana. Sorrentino è balzato agli onori della cronaca per un libro-inchiesta sull’omicidio del segretario del Pci siciliano Pio La Torre, avvenuto il 30 aprile 1981. Delitto eccellente, forse qualcosa di più, quello di La Torre. Sul quale la Procura di Palermo sta riaprendo le indagini proprio sulla base di nuovi elementi, alcuni dei quali forniti dal volume di Sorrentino, scritto con il giornalista Paolo Mondani. Uno su tutti: il segretario del Pci pochi giorni prima di morire aveva incontrato 5 professori universitari a cui voleva far visionare documenti riservatissimi relativi ai rapporti tra mafia, politica, anche estera, e imprenditoria da Portella della Ginestra alla scalata dei corleonesi. Il secondo incontro non si tenne mai e quei professori sono rimasti fino ad oggi figure senza volto.       

Quando ha incontrato uno di questi cinque uomini chiamati da Pio La Torre?
Nel 2007 e solo una volta.

Perché non ne ha parlato subito?
Comprendo la sua domanda. Ma l’esistenza di questo personaggio è pubblica. Lo intervistò prima di me un giornalista nell’aprile 2007. Nessuno però dice nulla: né i magistrati né alcuno di quei dirigenti politici che si affrettano ad ogni anniversario a celebrare La Torre.

Vuole fare adesso il suo nome?
Lo farò solo ai magistrati e poi, com’è giusto, saranno loro ad indagare.

Cosa le ha detto questo personaggio?
Da quell’incontro con La Torre, e dai fatti che poi si sono succeduti, si è convinto che sia esistita una sorta di struttura riservata a copertura di una sistema di potere in Sicilia, come una trincea che spiega decenni di crimini di sangue ma anche politici ed economici. La parte visibile sono gli omicidi di mafia la cui spiegazione non si trova solo nelle dinamiche mafiose.

Una ricostruzione che lei ritiene credibile?
La Torre parlava di “direzione strategica della mafia”, di un “tribunale internazionale” che decideva i delitti politici in Sicilia. La Torre è l’ultimo dirigente comunista ad essere ucciso ma prima di lui due generazioni di militanti vengono trucidati. La lotta antimafia non è nata dopo le stragi del ’92, anzi.

Ieri come oggi si parla di trattativa, di patti tra Stato e Cosa nostra. La Torre fu ucciso perché intuì questi legami?
Nessuna banda politico-criminale è più longeva di Cosa nostra. L’ossessione di La Torre era chi permetteva il “successo” di questa banda. Le faccio notare che ad ogni forte cambiamento politico corrisponde un cambiamento di Cosa nostra: i padrini italo-americani del dopoguerra durante il monopolio democristiano, poi l’ascesa dei corleonesi parallela alle fortune andreottiane fino alla dittatura di Riina durante il decennio craxiano. Tante trattative per un unico lungo patto.

Secondo questo testimone La Torre mette intorno ad un tavolo tutti professori universitari di letteratura e esperti del linguaggio. Nessuno storico, non le sembra strano?
A loro La Torre chiede che leggano dei documenti per analizzarne il linguaggio: potevano essere di tipo militare e messaggi provenienti da uomini di Cosa nostra. I mafiosi e il loro modo di comunicare a volte sono molto raffinati e complessi. Pensi al killer di La Torre: diplomato al liceo classico, lontano dal prototipo del “viddano” e pur essendo un soldato semplice sedeva alla pari nelle riunioni della Cupola.

E’ solo per paura che “il professore” non ha parlato?
La paura non spiega tutto. Lui ci dice che La Torre gli impose il silenzio assoluto anche all’interno della federazione. La paura dell’isolamento è spesso più forte della paura di morire. La morte è un attimo, l’isolamento ti divora la vita.

Killer e mandanti mafiosi sono stati condannati per il delitto. In questi trent’anni si è sempre parlato di moventi esterni per l’omicidio La Torre: non solo l’impegno antimafia ma anche contro i missili nucleari di Comiso, addirittura una pista interna.
La pista interna fu un depistaggio anche raffazzonato ma ha messo in allarme chi nel Pci siciliano  non era privo di peccati, anzi accettava il sistema di potere dominante. La Torre fu un uomo di rottura dentro il Pci siciliano, contro quel meccanismo che aveva inglobato una parte del partito. Lo dice lo stesso ex-segretario Natta: in Sicilia non vi fu un compromesso storico ma solo un compromesso. E le dirò di più: Berlinguer si è “fermato” a Eboli, la sua spinta ideale non è mai arrivata in Sicilia. Ai funerali di La Torre fu permesso di parlare al presidente della Regione, l’andreottiano D’Acquisto, il cui governo La Torre definì il peggiore nella storia dell’isola.

Ma nell’era di internet, che senso ha parlare di una “vecchia” storia di mafia, di comunisti, di segreti legati alla guerra fredda. Sembra archeologia, non le pare?
La nostra è un’indagine sul potere, sul coraggio di sfidare il potere. E spesso il potere non ha colore politico. Oggi La Torre sarebbe un feroce critico, sempre da sinistra, un punto di riferimento per i giovani: aveva capito che la mafia e la politica, come le avevamo conosciute stavano morendo, sostituite da altri soggetti non più definibili tout court con i vecchi schemi, destra-sinistra, criminale-illegale. Era un eretico, ce ne fossero di eretici come lui.

Parliamo sempre del passato ma com’è la mafia oggi?
Da sempre e’ una delle manifestazioni, quella più brutale, del potere italiano. Cambia forma ma è sempre un esercito a disposizione di altre logiche. La Torre diceva pubblicamente che la sola azione della magistratura non basta a capire cosa è la mafia, il malaffare. Ci vuole la politica, una sua assunzione di responsabilità. Perché spesso la magistratura ha fatto da tappo alla verità, anche nel caso La Torre.

A cosa si riferisce?
Come parte civile non abbiamo potuto interrogare uno dei killer, reo confesso. Non sono state svolte indagini precise nemmeno sulla dinamica dell’omicidio. Perché?

Giovanni Falcone indagò a lungo anche sull’omicidio di La Torre ma le indagini non lo soddisfacevano.
“Non firmerò quell’inchiesta nemmeno se mi torturano”, ecco cosa disse. E pubblicamente diceva anche che la mafia non prende ordini. Ma sapeva che non era così, era un messaggio verso l’esterno, quasi a tranquillizzare i suoi avversari nelle istituzioni.

Poi però arrivo l’attacco di Leoluca Orlando che diceva che i giudici palermitani tenevano le carte nei cassetti sugli omicidi eccellenti.
Un attacco irrituale ma i diari di Falcone confermarono che c’era qualcosa di vero. Al giudice –come lui stesso racconta – non fu permesso di indagare sul ruolo dei servizi segreti sui delitti La Torre e Mattarella. Sa quando vidi l’ultima volta il giudice?

Prego
Aula Bunker, Processo La Torre, fine maggio 1992: improvvisamente Falcone entra nell’aula che stava interrogando Bruno Contrada [ex-numero tre del Sisde, condannato a dieci anni per mafia]. Ero dietro Contrada, nei banchi riservati alle parti civili. Per pochi secondi il giudice lo osserva con un espressione profonda, dura. Poi prende posto ma la seduta venne sospesa. Pochissimi giorni dopo avvenne la strage di Capaci. Ancora una volta si decise di fare politica con il sangue.

Lei crede che ci siano altre voci rimaste ancora nell’ombra?
Non ne ho le prove ma sono sicuro che ci siano.

Tratto da: l'Unità

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