Per il Pg "favorì Cosa nostra e gli interessi del boss Provenzano"
di Silvia Cordella - 29 maggio 2012
“Prendo la parola sapendo che c´è un diffuso movimento popolare che grida all´innocentismo nei confronti dell´imputato” e “sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me”. Inizia parafrasando Alcide De Gasperi il procuratore generale, Luigi Patronaggio, nella sua requisitoria del processo d’appello a Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa nei confronti dell’ex presidente della regione siciliana Salvatore Cuffaro.
Perché se è vero che Cuffaro è un detenuto modello sono altrettanto vere le sue responsabilità per aver aiutato Cosa nostra per molti anni, facendo emergere un rapporto di continuità che sta alla base del reato di concorso esterno che oggi gli si contesta. Eccolo quindi il secondo atto d’accusa di un procedimento che in primo grado era stato chiuso con l’assoluzione per “ne bis idem” in quanto secondo il giudice Anania, Cuffaro sarebbe stato già condannato per gli stessi fatti nel processo “talpe”. In disaccordo completo la Procura che nella sua impugnazione parla invece di un rapporto fiduciario stretto fra il politico agrigentino e Cosa nostra dal 1991, quando strinse le mani ad Angelo Siino, fino al 2008, anno della sua prima condanna. Patronaggio ha parlato anche di un’intercettazione inedita risalente all'8 ottobre 1998 quando, Giorgio Liberto, indagato nell'ambito di un'indagine contro la mafia delle Madonie, avrebbe detto ai suoi interlocutori di stare attenti alle microspie lasciando intendere che in ogni caso, qualora ci fosse stato bisogno si sarebbero potuti rivolgere a Cuffaro. “Non c'è problema, c'è Cupparo” avevano riportato le trascrizioni ma secondo il procuratore è evidente che il riferimento fosse all’ex Governatore della Sicilia. Patronaggio ha ripercorso le tappe salienti della vita pubblica dell’ex senatore Udc rimarcando la sua disponibilità ad “avvantaggiare il mandamento mafioso di Brancaccio, la famiglia mafiosa di Villabate e concretamente gli interessi di Cosa nostra e di Bernardo Provenzano nella sanità attraverso Michele Aiello”. Il manager della clinica oncologica di Bagheria condannato per associazione mafiosa al quale una sentenza ha concesso di recente i domiciliari per la sua incompatibilità con il menù carcerario. In due decenni, la disponibilità dell’ex Governatore della Sicilia verso importanti personaggi della consorteria mafiosa a parere dell’accusa dev’essere quindi letta come risultante di un rapporto “do ut des” maturato negli anni (non quindi solo di favoreggiamento) in cui la contropartita per Cuffaro sarebbe stata caratterizzata dall’appoggio elettorale mafioso nella sua ascesa politica in Regione.“L'input alle cosche a votare Cuffaro – ha affermato Patronaggio citando le dichiarazioni del pentito Giuffrè - nel 2001 arrivò dal boss Bernardo Provenzano che aveva interessi nel mondo della sanità”, settore nel quale Cuffaro era ben inserito. Ma anche un altro collaboratore di giustizia, Ignazio Di Gati, riferisce che dai vertici dei clan e in particolare dal capo della mafia di Agrigento Maurizio Di Gati, arrivò l'indicazione ai “picciotti” di votare l'ex Governatore. In Cambio il pentito “doveva essere aiutato nell'apertura di alcune farmacie”, ha spiegato il Pg. Cuffaro secondo la Procura non poteva quindi disdegnare i voti mafiosi poiché sapeva di essere un “punto di riferimento per Cosa nostra”. Il 16 giugno, toccherà ai legali dell´ex governatore intervenire. Due giorni dopo, potrebbe arrivare già la sentenza.