“Per vincere serve l'impegno di tutti”
di AMDuemila - 22 maggio
Si è tenuto questo pomeriggio presso l'Aula Magna del Palazzo di giustizia di Palermo l'iniziativa, organizzata dall'Associazione nazionale magistrati alla vigilia del ventesimo anniversario della strage di Capaci, “Venti anni dopo. Bilancio e prospettive nella lotta alla mafia”. L'intento, così come annunciato dal titolo, non era solo commemorativo nei confronti dei giudici Falcone, Morvillo e Borsellino e degli uomini delle scorte. E' toccato al presidente dell'Anm Palermo, Nino Di Matteo, aprire i lavori tracciando una prima analisi sullo stato attuale della lotta alla mafia, dopodiché è stata Maria Falcone, sorella del giudice, a riportare le lancette del tempo indietro “ricordando Giovanni e l'eredità che ci ha lasciato”.
Il suo è stato un racconto intenso in cui ha ripercorso il senso dello Stato del magistrato Falcone, anche quando al suo posto il Csm scelse Antonino Meli per la carica di procuratore capo di Palermo. Poi ci sono stati gli interventi piuttosto sentiti di Roberto Conti ed Alessia Sinatra che ha ricordato la figura, non solo come magistrato ma anche come donna, di Francesca Morvillo: “Tutto quello che succede agli esseri umani, dobbiamo ricordare che succede anche ai giudici. A vent'anni dalla strage mi auguro che la voglia di riscatto si opponga sempre al dolore così come accaduto a Brindisi nei giorni scorsi. Il nostro pensiero va alla stella di Melissa, che ora possa illuminarci e che possa far sì che gli occhi di Veronica non si chiudano per sempre”.
Degli anni successivi alle stragi del '92 ha parlato con forza Giancarlo Caselli, procuratore di Torino: “Da Palermo è partito il movimento di Resistenza che, possiamo dire 20 anni dopo, ci ha consentito di non essere schiacciati e di non essere diventati sudditi della mafia. Sono molto orgoglioso di aver partecipato a questa Resistenza”. Quindi ha aggiunto: “Il Paese attraversa una crisi economica senza precedenti, vive tensioni sociali, è scosso dalla violenza terroristica, ma ancora siamo fermi a una delega pressoché totale del contrasto alla criminalità organizzata alle forze dell'ordine e alla magistratura. Di fronte a tutto questo la politica resta chiusa in un recinto autoreferenziale, arroccata su questioni di bottega - alludo alle polemiche sulla concussione, sulle intercettazioni - mentre la casa comune è sottoposta a scossoni”.
Sul fronte del contrasto ai rapporti tra la mafia e la politica è intervenuto anche il procuratore capo di Palermo Francesco Messineo: “I risultati non sono incoraggianti. Resta un legame forte, come dimostrano i processi in corso e gli scioglimenti di diversi comuni. Restano improprie relazioni ed illeciti contatti, che testimoniano la perdurante attrattiva di Cosa nostra per la politica”. Tuttavia Messineo lancia un messaggio “moderatamente ottimista sul fronte della lotta alla mafia” in quanto “pur essendo in continua evoluzione per Cosa nostra è iniziato il principio della fine”.
Piuttosto forti e critiche sono state le dichiarazioni di Alfredo Morvillo, procuratore di Termini Imerese e fratello di Francesca: “Una parte della società civile che è affascinata dalla criminalità organizzata e che lungi da allontanare i mafiosi li corteggia, una parte della società per cui la mafiosità non è un discrimine, questi soggetti sono la palla al piede della lotta alla mafia”. Inoltre ha fatto un appello al legislatore perché introduca “norme per l'incompatibilità e la decadenza” perché i “Codici etici adottati dalla politica non sono adeguati, perché ancora una volta contengono una delega alle scelte della magistratura. La politica ha il dovere di assumersi le proprie responsabilità. Invece si guarda bene dal fare pulizia al suo interno e sbandiera le assoluzioni come fossero una patente di purezza d'animo” .
Quindi ha continuato: “La politica deve fare pulizia al proprio interno da un lato, valorizzando il momento etico e di servizio nei confronti della collettività e del bene comune; dall'altro, impedendo ai sospetti di accedere ad incarichi pubblici. La mancanza di sanzioni giudiziarie definitive non significa l'estraneità agli interessi di Cosa nostra. L'incompatibilità soggettiva a rivestire certi incarichi deve diventare un ostacolo insormontabile. Ma anche noi cittadini non possiamo stare a guardare, ritenendo che la lotta alla mafia sia compito di altri per evitare che il sacrificio dei giudici Falcone e Borsellino e di tutti gli altri fedeli servitori dello Stato uccisi dalla mafia per essere stati tali sia stato inutile”.
Sull'impegno della società civile ha battuto molto anche Leonardo Guarnotta, presidente del Tribunale di Palermo: “La partita della lotta alla mafia, che non possiamo permetterci di perdere, si gioca nelle quotidianità delle relazioni umane, nelle scuole, nelle facoltà universitarie, negli ospedali, negli uffici pubblici, nelle imprese commerciali, negli istituti di credito, nelle scelte individuali e collettive. Non sono escluse neanche le scelte elettorali e le scelte che vengono fatte dai segretari di partito nel selezionare i candidati da inserire nelle liste, quindi quelle degli elettori nell'esercizio del diritto-dovere di designare i loro rappresentanti in Parlamento e delle altre istituzioni”. Guarnotta ha così ricordato i vari attacchi ricevuti dalla magistratura da parte del potere politico, per poi approfondire il rapporto tra mafia e politica "divenuto sempre più di grande e attuale nell'ultimo ventennio”. “Questo – ha continuato - è indubbiamente uno degli aspetti più inquietanti e controversi del fenomeno mafioso e della storia dei partiti e delle istituzioni della nostra nazione. Il motivo di tale interesse risiede nella consapevolezza che l'oscurità e quelle trame destabilizzanti non sono ancora state disvelate. Molti nodi non ancora sciolti. Basti pensare alle stragi del '92 e del '93, alla cosiddetta trattativa tra uomini delle istituzioni e rappresentati di Cosa nostra, alla quale si darebbe fermamente opposto Paolo Borsellino, secondo recenti ricostruzioni investigative. Poi al cosiddetto 'Papello', con il quale in cambio della rinuncia alla strategia stragista posta in esser da Cosa nostra si avanzava, tra le altre, la richiesta dell'abolizione del carcere duro prevista dall' art.41 bis del ordinamento penitenziario”. “A riguardo – ricorda - nelle motivazioni della sentenza del 5 ottobre 2011, con la quale Corte d'Assise di Firenze ha condannato all'ergastolo Francesco Tagliavia ritenendolo anch'egli responsabile delle stragi che insanguinarono Roma Firenze e Milano si afferma che una trattativa indubbiamente ci fu e venne quantomeno inizialmente impostata su un do ut des. Un'iniziativa che fu assunta da rappresentanti delle istituzioni e non dagli uomini di mafia”. Quindi ha concluso: “Per sconfiggere la mafia è necessario uno sforzo comune da parte tutte le componenti della società civile per operare quella modifica morale e sociale che consenta a noi tutti, ma soprattutto ai giovani che sono il nostro futuro, di vivere ed operare in una società migliore di quella in cui ci troviamo, e nelle quale non si è costretti a chiedere per favore quello che loro spetta di diritto. Per far ciò è anche indispensabile che il governo ed il parlamento si facciano carico di dotare le forze dell'ordine e della magistratura, di quegli strumenti e delle risorse umane e materiali indispensabili per svolgere al meglio il loro compito. Perché, sia chiaro, la lotta alle mafie si combatte in Sicilia, Calabria e Campania ma la guerra si vincerà a Roma”.
Successivamente è stata la volta del ministro della Giustizia Paola Severino che ha sottolineato come anche la lotta alla criminalità e alla corruzione siano “due fronti su cui combattere con grande fermezza e piglio forte. La proposta del procuratore (di Termini Imerese, ndr), Alfredo Morvillo di tipicizzare il concorso esterno in associazione mafiosa, e quella di prevedere l'incompatibilità dalle cariche istituzionali per chi ha rapporti con la criminalità organizzata sono due proposte che vanno esaminate con grande attenzione, due proposte sensate e da approfondire. Il giudice Giovanni Falcone è un giudice di spessore internazionale. Il suo modo di operare, con professionalità ed equilibrio, è rimasto a tutti noto come 'metodo Falcone', un metodo fatto di criterio investigativo ed umanità”. “Ancora oggi il 'metodo Falcone' -ha aggiunto- è efficace ed è considerato un esempio nel contrasto per diversi Paesi. Se si guarda ai provvedimenti voluti da Falcone nel suo periodo ministeriale ci si accorge di quanto incisiva sia stata la sua azione nell'elaborare regole forti, efficaci e moderne a sostegno dell'azione antimafia. Dalla disciplina in favore dei collaboratori di giustizia alle previsioni sulla custodia cautelare obbligatoria in carcere per i mafiosi colpiti da gravi indizi di reato”.
Dal canto suo il presidente Nino Di Matteo ha ricordato la propria scelta fatta prima da studente, tenendo come riferimento il pool antimafia, e poi da magistrato, vestendo la toga proprio alla camera ardente di Falcone. “In questa lotta è importante che si mantenga inalterata la norma sulle intercettazioni e che non vada in porto quel progetto nefasto che è legato ad essa – ha aggiunto Di Matteo – Per fare il salto di qualità è necessaria un' inversione di rotta e creare le condizioni per recidere quel rapporto mafia-politica-istituzioni tenendo ben presente che la lotta alla mafia e la lotta alla corruzione sono due facce della stessa medaglia”.
Di Matteo ha quindi ribadito la necessità di un riformulazione dell'articolo 416 ter del codice penale nella seguente maniera: “La pena stabilita dal primo comma dell'articolo 416 bis si applica anche a chi ottiene la promessa di voti prevista dal terzo comma del medesimo articolo 416 bis in cambio della promessa di denaro o di altre utilità per sé o per un terzo”. Quindi ha ricordato l'incontro di Borsellino, nel 1989, con alcuni studenti di Bassano del Grappa dove proprio Borsellino aveva detto: “L’equivoco su cui spesso si gioca è questo: quel politico era vicino ad un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato quindi quel politico è un uomo onesto. E no, questo discorso non va perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire, beh, ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire quest’uomo è mafioso”. “Però – aveva ulteriormente ribadito – siccome dalle indagini sono emersi altri fatti del genere altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza: questo tizio non è mai stato condannato quindi è un uomo onesto”. Infine, rivolgendosi anche allo stesso ministro della Giustizia Paola Severino ha auspicato che la lotta alla mafia diventi davvero priorità della politica “perchè quelle morti dei martiri delle mafie non sono state vane ed inutili”.
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