di Francesca Nicastro - 27 marzo 2012
La criminalità organizzata in Veneto non controlla il territorio come al Sud ma ha forti interessi economici. “Segui i soldi e troverai la mafia” spiegava Giovanni Falcone. Prendere coscienza che non esistono isole felici è il primo passo per sviluppare gli anticorpi necessari a combattere e a prevenire il fenomeno delle infiltrazioni delle mafie nell’economia, nella società, nella politica.
La crisi economica è il cavallo di Troia con cui la criminalità mafiosa si infiltra in un territorio. Con un fatturato di 140 miliardi di euro essa è il primo agente economico del Paese e con i suoi 65 miliardi di euro di liquidità è la prima banca. Le sue attività non risentono della crisi: il traffico internazionale della droga, quello delle armi, il business dei rifiuti, la speculazione immobiliare continuano a rendere bene.
Ma come far fruttare questo fiume di denaro sporco? Riciclandolo nell’economia legale, comprando immobili, investendo in aziende ed esercizi commerciali.
Il figlio di un prestanome del boss Bernardo Provenzano è venuto a Treviso a investire: in due anni ha acquisito immobili per 1,5 milioni di euro. Aveva aperto una ditta nel ramo dell’edilizia, inoperante dopo esserci aggiudicata un appalto con un ribasso d’asta pazzesco, serviva solo da copertura.
Con la crisi economica il nostro tessuto produttivo è diventato più fragile. E più forte è la tentazione per l’imprenditore, che vede la propria azienda a rischio fallimento per mancanza di liquidità, di ricorrere a prestiti al di fuori dei canali legali del credito. “Mi faccio aiutare da questi, poi appena l’azienda riparte me le libero”. Ma non se ne libera più. Perché l’obiettivo degli usurai mafiosi non sono tanto gli interessi del prestito usuraio, ma acquisire l’azienda, sottrarla al legittimo proprietario.
I casalesi che gestivano la società di intermediazione finanziaria “Aspide ”, con sede nel Padovano (sono il 23 sotto processo a Venezia tra cui alcuni veneti), hanno portato alla rovina anche un importante gruppo edile trevigiano che si è visto svuotare e far fallire due società (una delle quali trasferita a Napoli).
Se si lascia entrare le mafie nell’economia, trovarsele dentro i municipi è un attimo. Desio, Bordighera, Ventimiglia e Leinì non sono paesini del profondo Sud. Il primo si trova nell’hinterland milanese, gli altri due in Liguria, il quarto in provincia di Torino. Sono Comuni del profondo Nord sciolti, tra il 2010 e il 2012, per infiltrazioni mafiose.
Le fondamenta dell’economia e della società venete sono ancora sane. Ma pensare che questo basti a salvarci dal contagio è illusione. Bisogna costruire solidi presidi di legalità. E servono i mattoni di tutti. L’impegno delle forze dell’ordine e della magistratura, che intervengono a danno fatto e contagio avvenuto, va affiancato da una motivata e capillare attività di prevenzione da parte delle istituzioni e delle forze sociali.
Le istituzioni, da stazioni appaltanti, devono vegliare sui settori altamente a rischio infiltrazioni, gli appalti appunto, e fare rete, magari aderendo alle associazioni di enti locali antimafia già esistenti, promuovendo la cultura della legalità a cominciare dalle scuole. La politica deve avere il coraggio di tenere alta l’attenzione del dibattito pubblico, senza timori di presunti “danni di immagine”. I media ne devono parlare, al di là dei calcoli di audience. Le associazioni di categoria devono ospitare nei propri codici etici principi antimafia (alcune l’hanno già fatto), non smettere di chiedere allo Stato e agli enti locali di rifinanziare i fondi antiusura, strumenti potentissimi di salvataggio delle aziende a rischio strozzinaggio. Anche gli Ordini professionali hanno un ruolo di vigilanza importante in questa partita perché la criminalità organizzata si serve di professionisti puliti - commercialisti e notai soprattutto - per le proprie operazioni sporche (e in genere pulite all’apparenza). Attualmente le operazioni finanziarie sospette di riciclaggio segnalate alle autorità competenti dai professionisti sono pochissime rispetto a quelle segnalate, ad esempio, dagli istituti di credito (è di qualche giorno fa la notizia di tre notai vicentini a cui la Guardia di Finanza ha constato la violazione delle norme antiriciclaggio: non avrebbero segnalato operazioni sospette per un ammontare di 10 milioni di euro).
Qualche passo verso la costruzione di presidi di legalità in territorio veneto è già stato compiuto. La Regione a gennaio ha firmato con Ance e Prefetture un Protocollo di Legalità a contrasto delle infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei contratti pubblici. Nei giorni scorsi il Consiglio provinciale di Treviso ha impegnato la Provincia ad adottare un protocollo analogo e a entrare in Avviso Pubblico, la rete di enti locali e regioni per la formazione civile contro le mafie. È inoltre al vaglio un progetto di sportello provinciale a sostegno degli imprenditori minacciati dall’usura e dalla criminalità organizzata.
Segnali positivi di un’attenzione crescente. Impegni necessari per evitare, prima o poi, lo stesso brusco risveglio dei connazionali di Desio, Bordighera, Ventimiglia, Leinì.
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