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mercadante-giovanni-webdi Silvia Cordella - 25 febbraio 2012
Processo d’appello da rifare. La seconda sezione della Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza che il 22 febbraio dello scorso anno aveva assolto “perché il fatto non sussiste” l’ex deputato regionale di Forza Italia Giovanni Mercadante, condannato dal Tribunale a 10 anni e 8 mesi per mafia. Il primario della radiologia del Maurizio Ascoli di Palermo era stato accusato dalla Procura (Pg Carlo Marzella) di essere “uno di quei soggetti che, fungendo da elemento di cerniera tra società civile e l’organizzazione mafiosa, hanno consentito a Cosa Nostra di sopravvivere per decenni all’azione di contrasto svolta dagli organi dello Stato”.

Secondo il collaboratore di giustizia Nino Giuffrè, ex braccio destro del capo di cosa nostra, Mercadante sarebbe stato “una sua creatura”. Anche Angelo Siino, l’ex ministro dei lavori pubblici di cosa nostra, lo aveva definito “uno dei suoi più grossi favoreggiatori”, mentre Giovanni Brusca aveva parlato della sua vicinanza al boss Tommaso Cannella, di cui il politico è cugino.
Mercadante era stato fermato dai carabinieri a luglio del 2006, subito dopo l’arresto di Provenzano, con l’accusa di esserne il medico. A far scattare le manette le conversazioni del 2005 tra il capo mandamento di San Lorenzo Antonino Cinà e il capo mandamento di Pagliarelli Nino Rotolo, entrambi arrestati nell’operazione “Gotha”. “Mi sono visto con Giovanni Mercadante” aveva riferito Cinà al suo interlocutore, “gli ho fatto una promessa, sono finiti i tempi che ci potevate prendere per fessi, qua non ci esce tu mi dai io ti do, anche perché ti ho eletto, ti vai a guadagnare 20 milioni al mese più la pensione e tre milioni al mese, sì tre milioni al mese per l’ospedale dopo trent’anni… Nino ci si devono dire queste cose?!”.  In base alla tesi accusatoria Mercadante sarebbe stato votato alle Regionali del 2001 grazie al consenso mafioso, “lei non ha idea di come lo stiamo portando”, affermava Salvatore Alfano, esponente del mandamento della Noce, poi arrestato. “… Tutta Via Noce, guardi … non c’è nessuno che alzi un dito contro Giovanni Mercadante…”. In cambio al politico veniva chiesto il suo contributo per sistemare Marcello Parisi, nipote di Angelo Rosario Parisi all’interno del Consiglio Comunale, ottenere l’assunzione all’Ismett, l’Istituto trapianti, del figlio di Cinà e assicurare un posto al dott. Massimo D’Aliberti dell’ospedale Niguarda di Milano come primario del reparto di neurochirurgia del Civico di Palermo. Nomina che sarebbe poi stata affidata al dott. Filippo La Seta. Secondo i pm Mercadante avrebbe fatto parte del gruppo ristretto dei fedelissimi di Provenzano, in modo riservato. Dopo la condanna di primo grado il sostituto procuratore Nino Di Matteo, titolare del fascicolo insieme al collega Gaetano Paci, aveva sostenuto,“per la prima volta siamo di fronte a un politico condannato per aver fatto parte dell’organizzazione mafiosa pur non essendo formalmente combinato”. Nel corso del processo erano stati trattati i contatti fra il primario della radiologia e il prof. Leoluca Di Miceli, uno dei cassieri di Riina e Provenzano arrestato per associazione mafiosa insieme a Pino Lipari, Carmelo Amato e Vaglica Giuseppe. Contatti che per la Procura sarebbero stati finalizzati a fissare alcuni incontri fra il medico e la famiglia del latitante Provenzano al Maurizio Ascoli “che là non ci sono problemi”. A conferma di tali rapporti i magistrati avevano depositato alcune lettere di Angelo Provenzano, figlio del capomafia, e indirizzate al padre che erano state sequestrate a Nicola La Barbera nel blitz di Mezzojuso del 2001 nel quale fu arrestato il boss Benedetto Spera. Fra gli argomenti citati dal ragazzo anche le condizioni di salute della madre Saveria Palazzolo e la richiesta di poter contattare un dottore, il cui nominativo veniva riportato con un codice numerico poi decodificato dagli inquirenti in Giovanni Mercadante.
L’ex deputato di Forza Italia, che ha più volte smentito le accuse affermando di non conoscere nessuno dei Provenzano e di non aver mai effettuato loro esami diagnostici, si era anche difeso affermando di conoscere il Di Miceli solo perché suocero di un suo sostenitore politico. Con la sentenza di ieri però i giudici non hanno mostrato di essere convinti dell’innocenza del medico del Maurizio Ascoli e hanno confermato le condanne a Cinà, Provenzano e Paolo Buscemi, il commerciante a cui sono stati dati 6 mesi per favoreggiamento.

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