Alla ribalta le vecchie famiglie mafiose, dai Graviano agli “scappati”
di Aaron Pettinari - 29 novembre 2011
FOTOGALLERY
Una nuova Cupola stava nascendo a Palermo. Per sugellare il nuovo accordo vi era anche stato un summit lo scorso 11 febbraio in cui i boss si incontrarono a Villa Pensabene, un ristorante maneggio allo Zen. Lì gli inquirenti hanno potuto svelare i nuovi scenari dell'organizzazione criminale da Palermo. Così questa mattina sono state portate a termine tre distinte operazioni antimafia eseguendo un'ordinanza di custodia cautelare e due provvedimenti di fermo.
In carcere complessivamente sono finiti 36 esponenti delle famiglie mafiose palermitane di Brancaccio, San Lorenzo, Resuttana e Passo di Rigano, accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione e traffico di stupefacenti. Le inchieste sono state coordinate dalla Dda di Palermo. L'indagine della polizia, denominata 'Araba Fenice', riguarda sedici presunti mafiosi del mandamento di Brancaccio. Quella del nucleo investigativo dei carabinieri e dei militari del Nucleo speciale di polizia valutaria della guardia di finanza, chiamata 'Idra', ha portato al fermo di sedici presunti mafiosi dei mandamenti di Resuttana e Tommaso Natale. Un terzo provvedimento di fermo è stato eseguito, infine, dai carabinieri del Ros nei confronti di quattro esponenti della cosca di Passo di Rigano. “Cosa nostra si stava ricompattando”, ha detto il procuratore aggiunto Antonio Ingroia che ha coordinato le indagini assieme all'altro aggiunto Ignazio De Francisci.
“Dall'indagine – ha continuato Ingroia - viene confermata l'unicità di Cosa nostra che ha una natura unitaria, c'è una tendenza a ricompattarsi ed è quello che stavano facendo diversi mandamenti”. In particolare, il boss Giulio Caporrimo è ritenuto “un elemento di cerniera” che “stava avviando un'operazione di questo genere, tramando una riorganizzazione di Cosa nostra”. La voglia di rivalsa dei vecchi capimafia è uno degli elementi principali che emrge in questa operazione.
Tommaso Natale e Resuttana
Proprio Caporrimo, tornato in libertà da appena un anno, era tornato a comandare tra Tommaso Natale e Resuttana. L'indagine coordinata dai pm Francesco Del Bene, Gaetano Paci, Annamaria Picozzi, Lia Sava e Marcello Viola che è la prosecuzione di quelle che negli ultimi tre anni hanno disarticolato la cosca dei boss Lo Piccolo. Parallelamente, la polizia valutaria, che a marzo scorso ha arrestato Giuseppe Liga, ritenuto il successore dei Lo Piccolo, ha ricostruito i nuovi assetti criminali del mandamento e ha individuato le ricchezze accumulate dai boss. Da questa è emerso che Caporrimo e il suo clan puntavano a realizzare un grande locale sul mare di Sferracavallo, e per questo avevano bisogno di diverse autorizzazioni amministrative. E a quanto pare sarebbero anche riusciti a contattare alcuni politici per trovare le giuste raccomandazioni.
A questo affare si aggiunge il solito tentativo di inserirsi nel progetto di realizzazione del nuovo centro commerciale del presidente del Palermo Maurizio Zamparini, in corso di realizzazione, e in quello per il nuovo stadio. Era un appassionato di calcio Caporrimo e la domenica, era spesso nella tribuna Vip dello stadio Barbera, grazie ai biglietti che gli procurava un suo insospettabile fidato, il gestore del bar dello stadio, Giovanni Li Causi, arrestato pure lui. Secondo la ricostruzione dei carabinieri del Nucleo Investigativo proprio Li Causi avrebbe tentato di piazzare ditte vicine a Cosa nostra negli spazi espositivi del centro Commerciale. Fra gli insospettabili del clan di Tommaso Natale, il nucleo speciale di polizia valutaria della Finanza ha scoperto anche un pensionato dell'Amat, l'azienda trasporti della città, Calogero Di Stefano, ex presidente del Movimento cristiano lavoratori, arrestato sulla base delle rivelazioni dei pentiti Isidoro Cracolici, Manuel Pasta e Salvatore Giordano che lo indicano come il referente vicino alla famiglia mafiosa di Tommaso Natale-San Lorenzo, subentrato al vertice di questa organizzazione ben inserita fra Comuni e Regione all’architetto Giuseppe Liga, in carcere da un anno. Di Stefano è accusato anche di estorsione continuata e aggravata perchè “con l'esercizio di violenza e minaccia derivante dalla sua appartenenza alla associazione mafiosa denominata Cosa Nostra”, come dicono i magistrati nel provvedimento di fermo, avrebbe imposto l'assunzione di un uomo, Emilio Scarpinato, presso la società Progetti Sas, rappresentata da Roberto Nigrelli, titolare di un appalto per la realizzazione di un edificio scolastico in via Socrate. Non solo, è anche accusato di avere imposto lavori e forniture da parte di imprese riconducibili a persone vicine alla mafia come Fabio Gambino, Andrea Luparello e Antonino Vitamia.
A Brancaccio non cambia nulla, comandano i Graviano
Dalle indagini investigative coordinate dal procuratore aggiunto Ignazio de Francisci e dai pm Francesca Mazzocco e Caterina Malagoli si è appreso che sono ancora i fratelli Graviano, capimafia dell'ala stragista di Cosa nostra, a comandare nel quartiere palermitano di Brancaccio. Filippo e Giuseppe, boss detenuti da anni, reggono le redini del mandamento con l'aiuto della sorella Nunzia, arresta a a Roma, tornata dopo una condanna per mafia a gestire gli affari della famiglia. Secondo l'accusa la donna ricopriva il ruolo di tesoriere dei clan.
Nel corso di una intercettazione, del dicembre 2010, Giuseppe Arduino, arrestato oggi, viene invitato ad andare in auto a Roma dalla stessa Nunzia Graviano, a cui deve portare al più presto una somma di denaro di circa diecimila euro. Il 24 dicembre l'uomo si reca così in auto, incontra la Graviano, consegna del cibo e forse i soldi e “dopo 15 minuti appena, torna a Palermo”.
A Palermo, gli eredi dei Graviano incontravano anche rappresentanti dell'ndrangheta E intanto, continuavano a fare la loro vita da insospettabili: Giuseppe Arduino, considerato al vertice del mandamento, era ufficialmente solo un fattorino dell'hotel San Paolo Palace, confiscato negli anni Novanta proprio ai fratelli Graviano. Altri esponenti del clan gestivano un bar fra i più noti della città, il bar Sofia, in via Mondini, traversa della centralissima via Libertà.
Dall’inchiesta è emersa anche una fitta rete di relazioni tra i vertici della cosca, alcuni in contatto con i capi della ‘Ndrangheta, specialisti nel traffico di droga come Gioacchino Piromalli, e quelli di altre famiglie mafiose della città.
Il summit di mafia
Per il summit più importante degli ultimi anni hanno scelto un noto ristorante nel quartiere Zen a Palermo: Villa Pensabene. Il 7 febbraio scorso per parlare di soldi, affari, pizzo e potere è in quel luogo che si è riunito l'intero vertice della mafia palermitana. Attorno al tavolo c'erano Giulio Caporrimo, Giovanni Bosco, Giuseppe Calascibetta (poi assassinato), Alfonso Gambino, Cesare Lupo, Nino Sacco e Giuseppe Arduino. A tratti – secondo quando emerge dalle indagini - tra i boss ci sarebbero stati momenti di tensione tanto da fare temere agli inquirenti, che intercettavano il summit, l'esplosione di una nuova guerra di mafia determinata dall'assenza di un vero leader in grado di mantenere la pace tra le famiglie. E proprio all'interno di queste frizioni, forse, può essere inseirito l'omicidio del boss mafioso Giuseppe Calascibetta, capo storico del mandamento di Santa Maria di Gesù, ucciso lo scorso 19 settembre sotto la sua abitazione. Ancora non si conoscono i motivi che hanno portato alla sua morte, certo è che all'epoca, almeno in apparenza, i rapporti con gli altri capimafia apparivano più che buoni, con tanti di abbracci e pacche sulle spalle.
Il ritorno al potere degli “scappati”
Dal summit di Villa Pensabene gli inquietni capiscono che le vecchie famiglie, tra cui quelle dei cosiddetti “scappati” stanno riprendendo in mano il potere.
“Al loro ritorno - hanno spiegato gli inquirenti - mantenevano un profilo basso, ma nel frattempo hanno ritrovato un loro 'posto a tavolà recuprando il terreno perduto”.
E’ il caso di Boccadifalco dove comanda Giovanni Bosco, parente di Totuccio Inzerillo reinserito con il benestare di Salvatore Lo Piccolo quando ancora era in libertà. Poi vi è Alfonso Gambino, inserito nella famiglia di Uditore nonché uomo di fiducia e portavoce di Bosco nelle trattative con gli altri mandamenti, da Porta Nuova alla Noce e Tommaso Natale. Nel gruppo figurano pure Ignazio Antonino Mannino, uomo d’onore della famiglia di Torretta e Matteo Inzerillo, nipote del boss Michelangelo La Barbera, incaricato di mantenere i rapporti con altri esponenti del mandamento che incontrava utilizzando mezzi dell'azienda municipalizzata dei trasporti di cui è dipendente.
“Cosa nostra stava tentando di ricompattarsi e di ricostituire un organismo di vertice unitario. Con le operazioni di oggi lo abbiamo impedito” - ha detto il procuratore di Palermo Francesco Messineo commentando, in conferenza stampa, le operazioni congiunte di polizia, carabinieri e finanza. Il procuratore ha specificato che “sono ancora le estorsioni le attività criminali su cui cosa nostra conta per fare cassa. A differenza di altre indagini questa volta alcune vittime del racket hanno avuto la forza di denunciare”. Tra i commercianti che si sono rivolti alle forze dell'ordine il titolare della pasticceria Costa di Palermo che si trova a pochi metri dal luogo in cui venne assassinato dalla mafia l'imprenditore Libero Grassi.
Gli arrestati
I carabinieri, coordinati dal tenente colonnello Paolo Piccinelli e dal maggiore Antonio Coppola, hanno arrestato con i finanzieri della Valutaria, diretti dal maggiore Pietro Vinco, 15 mafiosi di Tommaso Natale: oltre a Caporrimo, Di Stefano e Li Causi, le manette sono scattate per Marcello Coccellato, Ugo De Lisi, Giuseppe Enea, Fabio Gambino, Andrea Luparello, Vincenzo Di Blasi, Sandro Diele, Filippo Pagano, Amedeo Romeo, Stefano Scalici, Giuseppe Serio, Antonino Vitamia.
I poliziotti della squadra mobile, coordinati da Maurizio Calvino e Nino De Santis, hanno fermato a Brancaccio 17 persone: oltre alla sorella dei Graviano, Cesare Lupo, Antonino Sacco, Giuseppe Arduino, Antonino Caserta, Matteo Scrima, Michelangelo Bruno, Girolamo Celesia, Pietro Asaro, Natale Bruno, Giovanni Torregrossa, Filippo Tutino, Alberto Raccuglia, Antonino Lauricella, Pietro Arduino, Salvatore Conigliaro e Antonino Mistretta. I provvedimenti di fermo portano la firma dei pm Francesca Mazzocco, Caterina Malagoli e Vania Contrafatto.
I carabinieri del Ros, diretti dal tenente colonnello Fabio Bottino, hanno fermato invece quattro esponenti del mandamento di Passo di Rigano: Giovanni Bosco, Alfonso Gambino, Ignazio Mannino e Matteo Inzerillo, tutti partecipanti al summit del febbraio scorso a Villa Pensabene.
FOTOGALLERY
- Gli arrestati 1 / 2
- Gli incontri tra boss
- Il bacio sulle labbra
- I parenti alla Mobile