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rostagno-mauro-bigL’audizione del collaboratore di giustizia al processo Rostagno
di Maria Loi e Lorenzo Baldo - 23 novembre 2011

Trapani. Capo interamente nascosto da un giubbino, da quel poco che si  è potuto vedere, fisico appesantito dagli anni. Francesco Milazzo ha fatto il suo ingresso nell’aula bunker del carcere di San Giuliano a Trapani davanti alla Corte, presieduta dal giudice Angelo Pellino, chiamata a giudicare il boss di Trapani Vincenzo Virga e il suo sicario Vito Mazzara, accusati di essere l’organizzatore e l’esecutore materiale del delitto del giornalista Mauro Rostagno.

Per tutta la durata del dibattimento il collaboratore di giustizia ha risposto da dietro un paravento alle domande dei pm Gaetano Paci e Francesco del Bene e degli avvocati.
Milazzo ha raccontato di essere stato combinato con il rito della “panciuta” nel '73, a Paceco, in una proprietà del boss Girolamo Marino, detto “Mommu u nanu”, da Salvatore Giliberti, alla presenza “di tutti i componenti della famiglia mafiosa di Paceco”. Autore di alcuni omicidi di mafia commessi nel trapanese e delle attività svolte della cosca guidata da Vincenzo Virga, ha raccontato di un piano di morte, un delitto “eccellente”, progettato da Cosa Nostra per eliminare negli anni ’90 il capo della squadra Mobile di Trapani Giuseppe Linares, uno degli investigatori più impegnati nelle indagini su Cosa nostra. Ma il piano non venne portato a termine perché Virga avrebbe detto al Milazzo: “I tempi non sono ancora maturi”.
Ancora prima Milazzo era venuto a sapere del malcontento all’interno di Cosa Nostra per l’attività di denuncia che svolgeva quotidianamente Mauro Rostagno e dell’intenzione ad eliminarlo.
Milazzo ha riferito alla Corte di essere stato incaricato, poco tempo prima dell'agguato, da Francesco Messina detto “Mastro Ciccio” reggente del mandamento di Mazara di Vallo (quando Mariano Agate era in carcere ndr)  di effettuare un sopralluogo a Paceco nella zona in cui si trovava Rtc, l'emittente televisiva privata dove lavorava Mauro Rostagno. “Quando Ciccio Messina mi disse di fare il sopralluogo ho capito che Rostagno era arrivato, era arrivato significa che doveva essere ucciso, era arrivato alla morte” ha aggiunto Milazzo. Dell'incarico il collaboratore ha detto però di non averne parlato con nessuno, “neppure con Salvatore Alcamo”, capo della “famiglia” di Paceco, alla quale Milazzo apparteneva. Anche se Milazzo ha affermato “a noi non interessava ucciderlo”, e ha specificato che, in più occasioni, diversi affiliati a Cosa nostra, vedendo Rostagno in televisione, lo avrebbero appellato con disprezzo “farabutto, pezzo di cornuto”. Lui, infatti, “ci attaccava e diceva cose brutte su di noi al telegiornale”. Di quel sopralluogo a Rtc, ha raccontato il pentito, “nessuno mi ha più chiesto nulla” e “nemmeno io ho fatto alcuna domanda”.
In occasione di un altro incontro con Il Messina, il Milazzo gli riferì l’ubicazione della sede dell’emittente, in quell’occasione il capomafia fu più esplicito, confermandogli di avere già “sistemato tutto. Milazzò intuì che l’organizzazione dell’omicidio era già in corso. L’ordine di uccidere Rostagno arrivò dal capo della provincia di Trapani Francesco Messina Denaro, che per l’esecuzione si era appoggiato a Vincenzo Virga, allora capo del mandamento di Trapani. Quando poi, all'indomani dell'agguato, Milazzo incontra Vincenzo Mastrantonio, (operaio dell’Enel e uomo di fiducia di Vincenzo Virga ndr), questi commenta così l’omicidio: “Hai sentito cosa è successo ai picciotti»? Riferendosi al fatto che era scoppiato il fucile durante l'agguato a Rostagno. Secondo il Milazzo, sebbene Mastrantoni si sia limitato a parlare di “picciotti”, in realtà si sarebbe riferito ai  sicari di Valderice:Vito Mazzara, Salvatore Barone e Nino Todaro. Tutti appartenenti al gruppo di fuoco che ruotava intorno a Virga.
Milazzo ha riferito però che Rostagno viene eliminato “non perché parlava di tutti noi, ma  perché ha toccato qualche nominativo, fuori dalla provincia di Trapani, che non si doveva toccare”. Ma, “A noi (le famiglie ndr) di  Paceco, Trapani ed Erice non interessava ucciderlo”. Rispondendo al pm Francesco Del Bene, che gli ha chiesto chi fosse questo nominativo, il collaboratore ha detto che si tratta “di uno interno a Cosa nostra, ma di fuori provincia”.


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