La vicenda della figlia di Paolo Giaccone, il medico ucciso dalla mafia nel 1982
di Franco Cascio - 3 novembre 2011
Definisce la vicenda kafkiana e chiede in maniera provocatoria la rimozione dell’intitolazione al padre del Policlinico di Palermo. Lei è Camilla “Milly” Giaccone, figlia di Paolo, il medico legale freddato dalla mafia tra i viali alberati del Policlinico di Palermo la mattina dell’11 agosto 1982.
Aveva 53 anni Paolo Giaccone ed era uno dei più grandi esperti di medicina legale. Si rifiutò di aggiustare una perizia dattiloscopica che di fatto incastrava uno dei killer della sparatoria avvenuta nel dicembre 1981 a Bagheria che lasciò sul selciato quattro morti. La coraggiosa scelta di non cedere al ricatto mafioso gli costò la vita.
Oggi per lo Stato Paolo Giaccone non sarebbe vittima di “terrorismo mafioso” (come tra l’altro attestato da un documento del 1983 che la Prefettura inviò ai familiari) ma di “criminalità organizzata”. La forma cambia la sostanza. E la sostanza non consente a Milly Giaccone, dirigente medico nella struttura sanitaria Villa Sofia, di potere andare in pensione (inizialmente concessa per due mesi e poi revocata) grazie ai dieci anni di scivolo previsti dai benefici relativi alla categoria di familiare di vittima di mafia.
Dovrà essere il Consiglio di Stato a pronunciarsi per stabilire se Paolo Giaccone è vittima di terrorismo mafioso o vittima di criminalità organizzata.
Il parere del Consiglio di Stato è stato chiesto dopo che l’Inpdap ha stabilito che Milly Giaccone non rientra nella categoria di familiare di vittima di mafia perché la Prefettura aveva rilasciato una certificazione con la quale la inquadrava come familiare di vittima di criminalità organizzata e non di terrorismo mafioso.
Niente più pensione, restituzione delle due mensilità fino a quel momento percepite e rientro al lavoro in virtù di una riassunzione temporanea da parte dell’Azienda in attesa della pronuncia del Consiglio di Stato.
Ciò che maggiormente indigna Milly Giaccone è che a distanza di 29 anni il riconoscimento di vittima di mafia del padre debba passare da apparati burocratici e messo in discussione da paradossi normativi.
Raggiunta da ANTIMAFIADuemila Milly Giaccone si sfoga così: “Io sono felice che il Policlinico di Palermo sia intestato a mio padre. La rimozione del nome è solo una provocazione. Ma non tollero la leggerezza con cui viene trattata la sua figura quando emergono problematiche come queste”.
Milly Giaccone, siamo davanti a una classificazione delle vittime di mafia?
Purtroppo sì. Una triste classificazione tra vittime di mafia e di terrorismo, fra vittime di "serie A" e di "serie B". Da tempo i familiari delle vittime di mafia si battono per l'equiparazione. Sonia Alfano, qualche anno fa, si è incatenata davanti alla Prefettura di Palermo insieme ad altri familiari. Mi ha spiegato che, fra le altre cose, questa discriminazione viene dal fatto che, essendo la mafia radicata nella nostra cultura, la situazione di "vittime della mafia" è comunque prevedibile, quasi "naturale" mentre le vittime del terrorismo sono "più vittime" in quanto non rientrano in questo tragico "equivoco". Noi familiari non vogliamo privilegi, ma pretendiamo l'uguaglianza, l'equiparazione, per dare giustizia al sangue versato da tutte le vittime della legalità, sia essa terrorismo, strage o "semplice" criminalità organizzata.
Vicende come queste fanno venir meno la fiducia nei confronti dello Stato che dovrebbe innanzitutto conservare la memoria di chi in suo nome ha sacrificato la propria vita. Lei la fiducia ce l’ha ancora?
Io non ho perso la fiducia nello Stato, anche perché ho avuto una grande risposta a questo mio problema e ringrazio in anticipo chi si è fattivamente interessato, soprattutto per la umanità e per il rispetto e la stima dimostrata per la figura di mio padre. Ho solo timore per la lentezza della burocrazia che permette che succedano fatti come il mio.