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rotolo-nino-web0di Aaron Pettinari - 13 ottobre 2011
Si è concluso definitivamente ieri il processo scaturito dall'operazione “Gotha”. La Corte di Cassazione ha reso definitive le condanne già confermate in appello per 35 imputati, scongiurando così la possibile scarcerazione per scadenza dei termini di custodia cautelare che a febbraio avrebbe consentito a diversi mafiosi di tornare in libertà.


A giudizio vi erano boss del calibro di Nino Rotolo, Francesco Bonura, Gerlando Alberti senior, Giuseppe Savoca e Gianni Nicchi, uomini d'onore che hanno fatto la storia di Cosa Nostra nei primi anni del nuovo millennio e non solo. Così sono state confermate le condannde dell'Appello a 29 anni il boss di Pagliarelli Nino Rotolo, protagonista assoluto del procedimento, a 23 Francesco Bonura, membro della triade mafiosa con lo stesso Rotolo e Nino Cinà (imputato che ha scelto il processo in rito ordinario e condannato a 16 anni) anche se al primo è stata annullata la confisca di alcuni beni mentre per Bonura la Cassazione ha ordinato la rideterminazione della pena tenendo conto del meccanismo della continuazione.
Confermata anche la condanna a 13 anni del giovane capomafia Gianni Nicchi che, proprio nel casotto di Rotolo, veniva intercettato mentre prendeva lezioni su come commettere un omicidio. Una quindicina gli imputati che si sono visti confermare le condanna ma con l´obbligo, per la Corte d´appello di Palermo, di ricalcolare solo le pene: Gerlando Alberti, Pietro Badagliacca, Andrea Adamo, Settimo Mineo, Giovanni Nicoletti, Gaetano Sansone, Carlo Cancemi, Vincenzo Di Maio, Pietro Di Napoli, Tommaso Inzerillo, Alessandro Mannino, Giovanni Marcianò, Giovanni Milano, Francesco Picone, Salvatore Pispicia, Angelo Parisi e Giuseppe Savoca.
Inoltre è stato deciso l'annullamento con rinvio ad un'altra sezione della Corte d´appello, invece, è stata decisa per i due omonimi Francesco Inzerillo, 55 anni, e Francesco Inzerillo, 56 anni, e Pietro Parisi. Per questi i giudici di secondo grado dovranno rivalutare le accuse nel merito.
E' infine tornato libero Giovanni Sirchia a cui i giudici hanno eliminato la recidiva e diminuito la condanna da 7 anni a 4 e 8 mesi, ordinando la scarcerazione.

Le indagini che svelarono il dopo Provenzano

Con l'operazione “Gotha” del 20 giugno 2006 vennero decapitati i vertici delle famiglie mafiose di Pagliarelli, Uditore e San Lorenzo. Decisive, per le indagini, le microspie piazzate dalla Squadra mobile di Palermo in un capanno di lamiera dello stabile in cui il boss Nino Rotolo viveva agli arresti domiciliari. E' da queste intercettazioni che si sono rivelate, nei primi anni del millennio, profonde spaccature in seno a Cosa Nostra. A fomentare la divisione erano boss d'alto rango come Antonino Rotolo, Antonino Cinà (medico e capomafia di San Lorenzo) e Francesco Bonura (imprenditore edile e sottocapo della famiglia di Uditore). I tre formarono un triunvirato volto ad osteggiare l'ascesa di Salvatore Lo Piccolo e suo figlio Sandro (Tommaso Natale). Non a caso in palio tra i due schieramenti vi era anche la successione nella leadership mafiosa dopo l'arresto dell'ultimo padrino, Bernardo Provenzano (26 aprile 2006).
In quel box di lamiera i boss discutevano di affari, pianificavano le strategie criminali e sviluppavano i progetti per eliminare (anche fisicamente) il rivale emergente. A Rotolo, che mirava al controllo di Palermo grazie all'alleanza con i Savoca di Brancaccio, non piaceva l'aumento di potere dei boss di Tommaso Natale, i quali si stavano allargando anche verso San Lorenzo, così aveva sviluppato una serie di “trame” per convincere quanti più possibile (Provenzano compreso), della necessità di sbarazzarsi dei Lo Piccolo.
Il pretesto venne “servito” quando “Totuccio” decise di farsi promotore del ritorno in Sicilia degli Inzerillo.


Il problema degli “scappati”

Con la conclusione della seconda guerra di mafia, dopo aver ucciso l'allora capo di Cosa Nostra Stefano Bontade ed il suo braccio destro Totuccio Inzerillo, e tutti quelli a loro erano fedeli,  i corleonesi si insiediarono definitivamente al vertice della mafia siciliana. Riina, in primis, e Provenzano imposero nuove regole, riordinarono le famiglie e scoinvolsero anche le alleanze politiche. Sopravvissero in pochi a quella mattanza. Per aver salva la vita o si saliva sul carro dei vincitori, come i Lo Piccolo, o si fuggiva negli Stati Uniti.
In nome degli affari la Commissione di Cosa Nostra siciliana e le famiglie americane arrivarono ad un compromesso: agli “scappati”, come i membri della famiglia Inzerillo, sarebbe stata risparmiata la vita, a patto che, a prescindere dall'età e dal sesso, non “rimettessero più piede” a Palermo ed in provincia. A sigillare il patto era quindi stato nominato come garante Rosario Naimo, uomo d'onore  di Tommaso Natale, molto vicino al boss d'oltreoceano “Pippo” Gambino. Alcune vicissitudini giudiziarie, come l'espulsione dagli USA di Rosario Inzerillo (dicembre 2004), fratello di Salvatore, Santo e Pietro Inzerillo, tutti uccisi dai corleonesi, resero necessario qualche cambio di regole. Gli scappati potevano così rientrare in Italia a patto che informassero Naimo di ogni spostamento nel bel Paese. Oltre a Rosario Inzerillo erano già rientrati in Sicilia Giuseppe Inzerillo, figlio di Santo, e Francesco “u tratturi”, figlio di Pietro, e si stavano creando i presupposti per far tornare Giovanni Inzerillo, figlio di Salvatore.


Provenzano non prendeva posizione

Sulla questione era inevitabile avere un parere dal boss supremo, Bernardo Provenzano. Numerosi i pizzini, pieni di interrogativi su come scogliere il “nodo”, pervenuti all'allora capomafia. La “sentenza” degli anni Ottanta era ancora valida? Il padrino dava il proprio benestare al progetto dei Lo Piccolo? Non vi è reale chiarezza sulla risposta del boss. Il capo di Cosa Nostra da una parte richiamava al rispetto degli impegni del passato, dall'altra, nel tentativo di non far degenerare la situazione, nascondeva di sapere qualcosa in merito. Addirittura si disse favorevole, rispondendo ad una missiva di Nicola Mandalà che spiegava i motivi contingenti del ritorno in Sicilia degli Inzerillo, rimpatriati in Italia dalle autorità statunitensi.
Provenzano, fino all'ultimo, aveva provato a placare gli umori tra le due correnti, ma invano, Così disse a Rotolo: “Ormai di quelli che hanno deciso queste cose non c'è più nessuno...a decidere siamo rimasti io, tu e Lo Piccolo”.
Il boss di Pagliarelli, grande tragediatore, non ne voleva sapere. Era riuscito a portare dalla sua parte anche Francesco Bonura e Gaetano Sansone, inizialmente intenzionati a conoscere il parere di Provenzano. Agire drasticamente era per lui prioritario. Temeva la vendetta dei giovani Inzerillo che, a suo dire, riunitisi in aereporto “si stavano facendo la conta” degli oppositori, “quattro gatti” da eliminare.


Gotha spartiacque nella storia mafiosa

L'operazione “Gotha” non si è rivelata inchiesta chiave solo per capire la composizione dei mandamenti e le rivoluzioni interne della Cosa Nostra di quegli anni. Gotha ha raccontato della nuova evoluzione negli affari della mafia siciliana nel campo della droga e delle estorsioni. Ha messo in evidenza l'evoluzione dei rapporti con la politica, approfittando della presenza di “figure amiche” come Giovanni Mercadante, medico ed ex deputato regionale di Forza Italia condannato in primo grado a 10 anni e otto mesi per associazione mafiosa. Soprattutto ha messo a fuoco i rapporti tra le famiglie siciliane e quelle statunitensi, confermati successivamente con l'operazione “Old Bridge”. Rapporti, da una parte e l'altra dell'oceano, mai interrotti e che ancora oggi appaiono forti, nonostante gli arresti eccellenti degli ultimi anni che hanno scosso, ma non abbattuto, la mafia siciliana.

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