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Nuovo processo per gli imputati Carboni, Calò e Diotallevi
di Maria Loi - 23 dicembre 2010
Roma.
È racchiuso in 130 pagine il ricorso presentato dal pm Luca Tescaroli in Cassazione  per chiedere l’annullamento della sentenza di secondo grado (emessa dalla I Corte d’Assise d’Appello di Roma lo scorso 7 maggio) nel processo per l’omicidio del banchiere Roberto Calvi che ha mandato assolti per insufficienza di prove il faccendiere Flavio Carboni, l’ex...

...cassiere della mafia Pippo Calò ed Ernesto Diotallevi  imputati di omicidio volontario premeditato.
Per il Pm Tescaroli (applicato per questo caso alla procura generale) ci sono elementi per contrastare le assoluzioni e per avere un rinvio del processo a un'altra sezione della Corte d'Assise d'Appello per un nuovo processo. Sulla posizione di Carboni, il pm ritiene che “la sentenza d’appello ricostruisce la versione dell'imputato sugli accadimenti coevi all'omicidio Calvi e sulla sua condotta in termini che ne sottolineano la totale inattendibilità e l'assoluta inverosimiglianza” non tenendo conto “delle numerose falsità negli interrogatori resi durante le indagini” e delle “insanabili e imbarazzanti contraddizioni e imprecisioni nelle dichiarazioni dibattimentali di Carboni”. Secondo la procura non solo «la soppressione del banchiere avrebbe assicurato a Carboni l'impunità per i delitti di bancarotta del Banco Ambrosiano e di riciclaggio in cui è risultato coinvolto” ma anche “i diversi moventi alternativi ipotizzabili non hanno ancoraggi probatori; si tratta di ipotesi non certo contrastanti con il movente riconducibile a Carboni”. Per quanto riguarda Giuseppe Calò, il pm ha sottolineato, tra l'altro, due circostanze: la prima è che la sua indicazione “quale responsabile del delitto effettuata dai collaboratori di giustizia non può essere spiegata con la deduzione”; la seconda, che la Corte d'assise d'appello “recepisce il giudizio del giudice di primo grado in ordine alla non convergenza e non collimanza tra le accuse a lui rivolte dai diversi dichiaranti” ma “ha utilizzato una dichiarazione generica (quella di Giuliano sul ruolo di esecutore di Calò), ritenuta di dubbia affidabilità, per depotenziare la valenza accusatoria di tutti gli altri apporti tutt'altro che generici, provenienti da collaboratori, invece, ritenuti affidabili (Mannoia, Buscetta, Mutolo)”. Anche sulla posizione di Ernesto Diotallevi, la procura ha proposto ricorso per Cassazione ritenendo che “la tesi sostenuta dalla Corte circa la compatibilità della condotta di Diotallevi con altre finalità diverse dall'organizzazione del fatto omicidiario, si rivela manifestamente illogica se si correla alle risultanze ignorate” nel giudizio.
Sul ricorso proposto dal pm Alessandro Gamberini, l’avvocato della famiglia del banchiere Roberto Calvi, ha sottolineato i suoi dubbi. “Stiamo parlando di una vicenda complessa - ha dichiarato Gamberini -. La Procura ovviamente fa il suo mestiere ma a distanza di trent'anni dubito che qualcosa di nuovo possa emergere”. Secondo il legale “il processo, per essere chiuso, necessiterebbe di una ricostruzione storico-politica. Una responsabilità che un giudice non si assumerà mai. Del resto parliamo di una vicenda nella quale è difficile orientarsi. Dubito che questo ricorso possa trovare molto spazio in Cassazione”.
Nonostante intorno all’omicidio Calvi ruoti un complicato intreccio di massoneria, politica, affarismo e mafia, la sentenza della Corte di Assise d’Appello di Roma ci ha consegnato una verità storica incontrovertibile: Roberto Calvi è stato ucciso. Una verità molto scomoda che certamente non è gradita a molti.

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