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Il legale di Riina: ''Don Vito informatore dei carabinieri''
di Aaron Pettinari - 20 novembre 2010
Alla fine il tanto atteso “faccia a faccia” tra il capomafia corleonese Riina, ed il figlio dell'ex sindaco di Palermo ha avuto luogo ieri, durante il processo per l'omicidio del giornalista Mauro De Mauro.
    


Il “capo dei capi” è l'unico imputato come mandante del delitto, mentre Massimo Ciancimino è stato chiamato a deporre dall'accusa. Dall'altra parte del televisore, in diretta dal carcere milanese di Opera, Riina ascolta le parole del figlio di Don Vito mentre risponde alle domande del pm Sergio Demontis. Quindi Ciancimino ha tratteggiato, ricordando le rievelazioni del padre, il quadro degli anni '70 e di quel periodo che ha visto la scomparsa di De Mauro.
“I delitti De Mauro, Scaglione, Mattarella e Dalla Chiesa hanno un’unica regia, con mandanti romani, e Cosa nostra per la prima volta si occupa solo della parte logistica’’.
Massimo Ciancimino ha riferito così in aula le convinzioni maturate dal padre dopo che proprio nel 1970, a cavallo della sua elezione a sindaco di Palermo nel novembre di quell’anno, venne convocato a Roma dall’allora ministro dell’Interno Franco Restivo e da Attilio Ruffini, poi ministro della Difesa, per fare quello che il figlio ha definito “un salto di qualita” per assumere il ruolo di informatore dei servizi e di “mediatore” tra gli ambienti istituzionali e i capi emergenti di Cosa nostra. Ciancimino jr ha fatto soprattutto riferimento alla “triade”, come l'ha definita, composta da Luciano Liggio, Totò Riina e Bernardo Provenzano con i quali il padre aveva rapporti sin dagli anni giovanili. Con Liggio il figlio di don Vito ricorda un incontro in vacanza a Sirmione mentre Riina e Provenzano (che si presentava come il geometra Lo Verde) avevano frequentato la sua casa.
“Mio padre non aveva rapporti idilliaci con Totò Riina – ha aggiunto - Diceva sempre che Riina aveva un carattere irruento e irascibile, uno che agiva di pancia, mentre con Bernardo Provenzano c'erano delle affinità. Riina venne diverse volte a casa mia in via Sciuti a Palermo, almeno tre o quattro volte, ed era accompagnato dal geometra Lipari. Poi lo rividi anche al Castello di Trabia, nei pressi dello Zagarella e a Bagheria. Mio padre lo chiamava 'il torto'”.
Interpellato sul delitto De Mauro si è limitato a riferire che il giornalista aveva chiesto al padre di prendere per lui un appuntamento con il procuratore di Palermo Pietro Scaglione (che poi avrebbe incontrato ugualmente pochi giorni prima di sparire il 16 settembre del ‘70), ma che don Vito tergiversava con l’intenzione di ignorare la richiesta, “così come spesso faceva con i giornalisti, ed in particolare quelli de L’Ora”. 
L'eliminazione di De Mauro avrebbe sconvolto gli equilibri e innescato un meccanismo che poco dopo portò all'uccisione del procuratore Pietro Scaglione.
Il collegamento fra i due delitti veniva ricondotto da don Vito proprio alle trame della regia “romana”. Lo ha scritto lui stesso in alcuni appunti che il figlio, prima di deporre in aula, ha consegnato alla Procura. Con Scaglione l'ex sindaco aveva un'amicizia familiare. Il figlio ricorda che si trovava a casa del procuratore la sera del luglio 1969 in cui la tv trasmetteva le immagini dello sbarco sulla luna. Quando il magistrato fu ucciso, il 5 maggio 1971, don Vito rimase profondamente colpito. Si entì così male che dovette essere assistito da un medico.
“Mio padre era rimasto molto sorpreso per l'omicidio Scaglione, perché negli ambienti mafiosi erano noti i loro rapporti di amicizia. In un primo momento mio padre si sentì in colpa – ha spiegato Ciancimino junior - era convinto che Scaglione fosse stato ucciso perché non aveva voluto riesaminare il processo a Luciano Liggio. Cosa che poi fece un altro magistrato, sua eccellenza Palazzolo”.
Fu Provenzano a spiegare a Vito Ciancimino: “Chiedi ai tuoi amici romani, noi abbiamo solo eseguito degli ordini. Lo disse con un sorriso. Mio padre mi raccontò che Scaglione era stato ucciso perché aveva preso in mano l´indagine sull´omicidio De Mauro”. E su De Mauro mio padre mi disse che stava indagando sul delitto di Enrico Mattei e sul golpe Borghese, o sui cugini Salvo”.
Quando Scaglione prese in mano l’indagine sulla morte del giornalista de L'Ora, don Vito sentì la necessità di avvertire il procuratore del “vero spessore dell’avvocato Vito Guarrasi”, il potente e misterioso professionista di Palermo al centro di mille affari e sospetti. Questi era, secondo don Vito, il suo “alter ego”, cioè un mediatore tra le istituzioni e Cosa Nostra, però “dell’ala antagonista”, quella di Riina.
Successivamente ha avuto luogo il controinterrogatorio dell'avvocato Cianferoni, durante il quale Massimo Ciancimino ha parlato dell'arresto del padre: “Quando mio padre venne arrestato, il 19 dicembre del 1992, non venne mai fatta una perquisizione nella sua abitazione di Roma, dove abitava da tempo e dove teneva tutta la documentazione che poi ho consegnato, anni dopo, alla magistratura”. Quindi ha sostenuto di essere entrato in possesso della documentazione del padre, che negli ultimi mesi ha consegnato ai magistrati di Palermo e di Caltanissetta “tra il 2000 e il 2002”, cioè nel periodo della morte del padre avvenuta il 19 novembre del 2002. Cianferoni ha chiesto poi a Ciancimino junior di fare una descrizione fisica di Riina e il figlio di don Vito ha risposto: “ricordo che quando veniva a casa di mio padre indossava sempre un borsello, e che era più basso di me”. Il legale del Capo dei capi ha poi chiesto cosa lo avrebbe spinto a parlare due anni fa con il giornalista Maurizio Belpietro nel 2008. “Quando venni raggiunto da un'indagine anomala, perchè riguardava solo me e nessuno dei miei quattro fratelli, pensai di rivolgermi a Enrico Mentana, che era al Tg5 – ha risposto Ciancicmino - Lo incontrai all'aeroporto a Roma e lui mi diede il numero della sua segretaria. Poi però non si fece più sentire. Così mi rivolsi a Belpietro”.
Secondo Cianferoni, che ha fatto notare alla Corte d'Assise di avere “chiesto per anni l'audizione di Massimo Ciancimino, senza che la sua testimonianza non fu ammessa fino ad oggi”, le ricostruzioni del figlio dell'ex sindaco palermitano sono tutte fantasiose. Quindi ha chiesto la citazione in aula il prefetto Mario Mori, il generale Antonio Subranni ed il colonnello Giuseppe de Donno.
L'avvocato Luca Cianferoni vuole sentire i tre ufficiali, soprattutto Mori, per sapere proprio quali “erano i rapporti tra Vito e Massimo Ciancimino con l'Arma dei Carabinieri fino a quando Vito Ciancimino era in vita” per verificare “la credibilità di Ciancimino”.
Il pm Sergio De Montis, dal canto suo, ha chiamato sul pretorio la vedova di don Vito, Epifania Silvia Scardino.
Il Presidente della Corte d'Assise, Giancarlo Trizzino, ha accolto l'audizione di quest'ultima e inoltre sentirà Enrico Servillo, figlio del fotografo che riprese i momenti della visita il 27 maggio 1962 a Gagliano Castelferrato del presidente dell'Eni Enrico Mattei, morto la stessa sera a Bascapè sull'aereo precipitato in seguito a un sabotaggio. Saranno infine acquisiti i verbali delle dichiarazioni rese, nell'ambito dell'inchiesta sul caso De Mauro, dall'ex ministro Franco Restivo, dall'ex presidente della Regione siciliana Giuseppe Alessi e dal deputato del Msi Angelo Nicosia. Sono tutti deceduti. La Corte si è invece riservata se accogliere la richiesta del difensore di Totò Riina di audizione dei generali dei carabinieri Mario Mori e Antonio Subranni e del colonnello Giuseppe De Donno. Il processo è stato quindi rinviato al 3 dicembre.

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