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di Silvia Cordella - 20 novembre 2010
I giudici della Suprema Corte hanno condannato l’ex assessore alla Sanità del comune di Palermo Domenico Miceli per concorso esterno in associazione mafiosa. Gli ermellini hanno anche riconosciuto all’imputato le attenuanti generiche annullando con rinvio la sentenza d’Appello affinché possa essere riformulata la pena.


Non si svolgerà un nuovo processo ma dovranno essere risentite le parti relativamente al verdetto che ha condannato a sei anni e mezzo il pupillo dell’ex Presidente della Regione siciliana Salvatore Cuffaro, accusato di essere l’intermediario fra il politico dell’Udc e il capomafia di Brancaccio Giuseppe Guttadauro. Miceli ha scontato fino ad oggi 19 mesi di carcere e con le attenuanti generiche potrebbe ottenere la riduzione fino a un terzo della pena. Una volta rimodulata la condanna di Appello sarà di nuovo la Cassazione a pronunciarsi per l’ultima volta. L’Assessore era stato arrestato il 26 giugno 2003 dopo che le microspie del Ros avevano registrato a casa del boss le loro conversazioni durante tutta la campagna elettorale per le Regionali del 2001. Gli argomenti più trattati riguardavano strategie tese ad agevolare la legislazione per i detenuti di mafia ma anche nomine per concorsi medici e candidati da inserire nella lista di Cuffaro, ritenuto dal capomafia il “cavallo” vincente di quelle competizioni elettorali. Dopo una prima richiesta di aggiungere in lista il suo legale, l’avv. Priola, rifiutata però da Cuffaro, il boss decise di sostituire quel nominativo ingombrante ad un altro che riscuoteva la fiducia dello stesso politico. Domenico Miceli era stato quindi inserito nella lista del Cdu aggiudicandosi il primo posto dei non eletti con più di 6 mila preferenze ma ottenendo poco dopo, grazie all’ex Governatore, la dirigenza della Multiservizi, una società che svolgeva le manutenzioni per il Comune di Palermo e che costituiva per il partito un serbatoio importante di consensi.
Dalle contestazioni mosse nei confronti di Miceli e Guttadauro era così scaturito il processo a carico del senatore Cuffaro per favoreggiamento aggravato e rivelazione di segreto d’ufficio, arricchito dai fatti relativi all’inchiesta per mafia contro il manager di Bagheria Michele Aiello, coimputato di Cuffaro e condannato in primo e secondo grado per associazione mafiosa. Dopo la prima condanna che scagionava l’ex Governatore dal reato di mafia (per aver favorito singoli mafiosi e non l’organizzazione in quanto tale) i Giudici d’Appello, all’inizio di quest’anno, hanno invece ritenuto l’ex Presidente della Regione “pedina” consapevole dello “spionaggio” informativo che fece scoprire a Guttadauro le micropsie del Ros installate nel suo salotto, mandando così all’aria un’indagine che volta alla cattura di boss di primo piano quali Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro. Oggi, Nino Di Matteo, titolare dell’Accusa al processo di primo grado contro Miceli insieme al collega Gaetano Paci, ha commentato: “La pronuncia della Cassazione è un importante e definitivo riconoscimento del ruolo di intermediario che le sentenza di primo e secondo grado hanno attribuito a Miceli, fra il boss Giuseppe Guttadauro e il presidente della Regione Salvatore Cuffaro”.“La decisione della Cassazione – ha continuato - è la definitiva consacrazione di quelle intercettazioni, che hanno portato alla condanna di decine di mafiosi, e anche alla condanna, in primo e secondo grado, di Cuffaro”. Il pronunciamento definitivo della Cassazione per il reato di favoreggiamento aggravato a carico del Senatore Udc si attende per fine anno, mentre il processo di primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa sempre a suo carico è alle battute finali.

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