Il gip di Caltanissetta dispone archiviazione per boss catanesi Aldo Ercolano, Marcello D’Agata ed Eugenio Galea
Le dichiarazioni di Maurizio Avola sulle stragi di Capaci e via D’Amelio, nelle quali il collaboratore di giustizia ha chiamato in causa altri esponenti di Cosa nostra, non hanno trovato alcun riscontro. Per questo motivo il gip di Caltanissetta, Santi Bologna, ha disposto l’archiviazione nei confronti dei boss catanesi Aldo Ercolano, Marcello D’Agata ed Eugenio Galea, quest’ultimo indagato solo per l’attentato costato la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della sua scorta.
Nel decreto, il giudice accoglie la richiesta avanzata dal procuratore Salvatore De Luca e dall’aggiunto Pasquale Pacifico, i quali avevano sottolineato come “quanto emerso non può che far propendere per la totale falsità del narrato”. Bologna evidenzia che Avola “è stato sottoposto a un’attività di intercettazione lunga e pervasiva”, ma che le captazioni “non hanno consentito di accertare se e in che misura le sue dichiarazioni siano state etero-dirette”.
Il gip ricorda inoltre “la corposissima attività svolta per cercare di verificare le dichiarazioni di Avola” e sottolinea che la verifica è stata condotta “a tutto tondo”, analizzando ogni possibile elemento utile “in senso positivo o negativo”. Tuttavia, emergono “una serie di elementi che incidono nella credibilità generale del dichiarante”, tra cui “la tardività nella scelta di collaborativa” e “la difficile lettura delle motivazioni interne che lo hanno spinto ad aprirsi”.
Riguardo alla strage di Capaci, il giudice osserva che Avola ha fornito “dichiarazioni generiche” e che “nessun elemento specifico porta a una sua partecipazione diretta o di altri soggetti catanesi alla fase preparatoria” dell’attentato. Sulla strage di via d’Amelio, invece, in cui il pentito si autoaccusa di aver preso parte all’esecuzione insieme ad Aldo Ercolano, Giuseppe e Filippo Graviano e Matteo Messina Denaro, il gip rileva che vi sono “molteplici ragioni per cui il narrato di Avola non può considerarsi né riscontrato né attendibile”, aggiungendo che in più punti esso risulta anche “contraddittorio”.
Nelle 126 pagine del decreto, Bologna smonta nel dettaglio la ricostruzione del collaboratore, segnalando incongruenze anche sulla “convocazione” ricevuta da Ercolano, che Avola attribuisce prima a Marcello D’Agata e poi a Carmelo Santocono. Il suo racconto risulta “totalmente privo di riscontri” anche rispetto al presunto furto di un furgone bianco Ducato, che sarebbe dovuto servire come “piano B” per uccidere Borsellino con le armi in caso di fallimento dell’autobomba.
Ulteriori contraddizioni riguardano la Fiat 126 usata per l’attentato, l’“imbottitura” dell’auto con l’esplosivo, le caratteristiche del garage in cui sarebbe avvenuta la preparazione e l’identificazione dell’auto guidata da Salvatore Piombino nel presunto attentato fallito del 18 luglio 1992. Anche il racconto di Avola sul modo in cui il giudice Borsellino parcheggiò l’auto il giorno successivo presenta incongruenze.
Il gip definisce “poco credibile” il racconto degli eventi del 18 luglio 1992, quando Avola fu fermato dalla polizia a Catania con un braccio ingessato, che avrebbe dichiarato essere una finta ingessatura usata come alibi. Inoltre, l’affermazione secondo cui “il dottore Borsellino fosse costantemente seguito da uomini di Cosa nostra” non solo non trova conferma, ma “suscita forti dubbi di mendacità”.
Nel decreto di archiviazione vengono riportate anche dichiarazioni inedite di Avola, che si autoaccusa, insieme a Ercolano, dell’omicidio di Renato De Pedis, boss della Banda della Magliana, e afferma di aver commesso un omicidio per conto dei servizi segreti italiani prima del suo arresto, avvenuto il 28 febbraio 1993. “Trattasi – scrive il giudice – di episodi delittuosi mai riferiti prima e di competenza della Procura di Roma (a cui gli atti sono stati trasmessi per competenza, ndr), ma il cui tardivo racconto (o non racconto) non può essere ritenuto neutro sul piano della credibilità generale del dichiarante”.
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