Giovanni Motisi, detto “pacchione”, avrebbe fatto favori a persone esterne a Cosa nostra, ottenendo in cambio protezione o un modo per lasciare Palermo?
“Bisognerebbe chiederlo a Nino Rotolo” ha risposto un ‘vecchio sbirro’ alla domanda del giornalista Salvo Palazzolo di Repubblica di Repubblica citando una conversazione intercettata il 5 gennaio 2006, tra Nino Rotolo, autorevole mafioso di Pagliarelli e membro della Cupola di Cosa nostra, e Francesco Pecora, padre di Caterina, moglie di Motisi. Parlando di “pacchione” Nino Rotolo disse: “A me mi fa pena… a me mi fa pena lui, dovunque si trovi, ti dico dovunque si trovi perché ora io ti aggiorno di un’altra cosa. Quando sono uscito, ho saputo che Giovanni si faceva diciamo ‘cunnuciri’ da gente alla quale certe confidenze non gli si sarebbero dovute fare mai, e invece lui si faceva…”. Motisi, secondo Rotolo, si era affidato non a ‘cristiani’, ovvero a mafiosi, ma a ‘gente’ e per di più a “gente alla quale certe confidenze non gli si sarebbero dovute fare mai”.
Una circostanza piuttosto strana per un boss mafioso di spicco del mandamento di Pagliarelli, condannato all’ergastolo per l’omicidio del vicequestore Ninni Cassarà e dell’agente Roberto Antiochia nell’estate del 1985.
Motisi è latitante da oltre vent’anni, ma la sua sparizione è avvolta da anomalie. A differenza di altri boss, come Matteo Messina Denaro, che si nascondeva vicino a casa, di Motisi non si hanno tracce concrete. Non ci sono intercettazioni recenti che lo menzionino, né indizi chiari sulla sua posizione. Una voce, riportata da un giornalista, lo dava per morto in una clinica privata in Colombia, ma le indagini della Procura di Palermo hanno smentito questa ipotesi.
Fonte: Repubblica
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