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Secondo una fonte anonima, il “fantasma” di Cosa Nostra, latitante dal ’98, sarebbe morto in una clinica a Calì

Giovanni Motisi, uno degli ultimi grandi latitanti di Cosa nostra, non sarebbe morto in Colombia. La notizia circolata nei mesi scorsi, secondo cui sarebbe deceduto in una clinica privata di Calì a causa di un tumore al pancreas, è stata smentita dagli accertamenti delle autorità italiane. A confermarlo - scrive “LiveSicilia” - è la Procura di Palermo, che ha avviato una serie di verifiche partendo da un articolo pubblicato sul settimanale “Gente”, firmato dal fotoreporter Antonello Zappadu. Proprio Zappadu, infatti, ha spiegato di aver ricevuto informazioni attendibili da una fonte colombiana, secondo cui Motisi avrebbe voluto concedere un’intervista e che, a causa delle sue condizioni di salute sempre più gravi, stava contemplando anche la possibilità di un rientro in Italia prima di consegnarsi alle autorità. Un incontro che, purtroppo, non ha mai avuto seguito, così come il suo rientro in Italia. Gli investigatori, su disposizione della Direzione distrettuale antimafia, hanno passato al setaccio cliniche e ospedali della città colombiana senza trovare alcuna traccia utile. Anche lo SCO (Servizio centrale operativo) e la polizia locale hanno collaborato alle indagini, ma senza risultati. La pista sudamericana, tuttavia, non viene del tutto abbandonata: già altri boss si sono rifugiati in quelle aree, e Motisi potrebbe aver fatto lo stesso. Oltretutto, la storia di Motisi, boss di Cosa nostra latitante dal 1998, è tutt’altro che ordinaria. Conosciuto con il soprannome di “'u pacchiuni”, Giovanni Motisi è stato uno dei killer più fidati di Totò Riina, coinvolto negli anni ’80 in alcuni degli omicidi più efferati della mafia siciliana, compreso quello del dirigente della Squadra mobile di Palermo, Ninni Cassarà, ucciso insieme all’agente Roberto Antiochia in un agguato avvenuto nel 1985. A parte qualche flebile traccia - come quella del 1999, quando avrebbe festeggiato il compleanno della figlia in una villa nei pressi di Palermo - di lui non si è saputo più nulla di concreto, tranne che nel 2002 sarebbe stato costretto ad abbandonare il suo ruolo di capo del mandamento di Pagliarelli, forse per motivi legati alla gestione poco trasparente delle finanze del clan o per la sua lunga assenza dal territorio. Da allora, è sparito nel nulla, portando con sé anche segreti che potrebbero essere di enorme rilevanza giudiziaria. Sono diversi i collaboratori di giustizia che hanno collegato a Motisi alcune delle più importanti riunioni di Cosa nostra. Francesco Paolo Anzelmo, uno dei killer di Cassarà, ha raccontato che proprio “'u pacchiuni” partecipò a incontri preliminari per pianificare l’omicidio del dirigente di polizia, avvenuto in vicolo Pipitone, un luogo che - secondo altre testimonianze - era frequentato non solo dai mafiosi, ma anche da carabinieri e agenti dei servizi segreti deviati. Invece, stando ad alcune dichiarazioni rilasciate dal pentito Calogero Ganci, Motisi avrebbe partecipato anche alla “commissione” coinvolta nell’omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, assassinato nel 1982 insieme alla moglie e a un agente della scorta. Se così fosse, Motisi potrebbe essere, o potrebbe essere stato, a conoscenza di informazioni mai emerse su uno dei delitti più gravi della storia della Repubblica italiana.

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