L’intervista del Procuratore capo di Palermo a ‘La Stampa’
La separazione delle carriere “non sposta di un giorno la durata dei processi. Inoltre, la separazione tra pubblico ministero e giudice già c’è. Con le modifiche proposte, invece, si avrà un pubblico ministero senza responsabilità”, “incontrollato o, in futuro, controllato dall’esecutivo, che quindi orienta la sua azione secondo il pensiero dell’esecutivo del momento”.
A dirlo è il procuratore capo di Palermo Maurizio de Lucia in un’intervista al quotidiano ‘La Stampa'.
La separazione delle carriere di fatto già esiste poiché “è possibile cambiarle una sola volta nel corso della carriera. E con le modifiche proposte si avrà un pubblico ministero isolato e a rischio di diventare molto autoreferenziale”.
La normativa antimafia
In questo momento manca “una strategia complessiva che vada in un solo indirizzo”: le norme devono essere “ragionevoli e chiare. Le organizzazioni criminali si infiltrano dove c’è opacità, contraddizione” e un esempio di questo sono i “subappalti a cascata. La prevenzione si è attenuata e le piccole imprese mafiose riescono a infiltrarsi proprio in quel settore” ha detto, “bisognerebbe individuare dei tetti più severi oltre i quali il subappalto non può essere a cascata” ha continuato, aggiungendo che “Cosa nostra è attenta a intercettare ricchezze. Lo è stata nella stagione dei grandi appalti siciliani, nel mondo del gioco e delle scommesse. Oggi lo è sul boom turistico in Sicilia. Se lo sviluppo è caotico e non governato, l’organizzazione cerca di inserirsi lì”. Per quanto riguarda il processo “contro i mafiosi è un processo come gli altri e, bene o male, ancora si riesce a fare. Quello che non si riesce a fare è il processo normale, che il cittadino ha bisogno si svolga in tempi ragionevoli. Ora abbiamo un proliferare di reati, ma sempre con le stesse regole. Non possiamo aumentare i processi perché aumentano i reati: così si ingolfa tutta la macchina”.
La mafia che non spara più
Cosa nostra “da un lato ha subito i colpi delle forze di polizia, dei processi e delle sentenze. Dall’altro ha capito che la strategia stragista non ha pagato e ha cercato di riconvertirsi verso la sua tradizione, che è di mediazione e affari” ha detto; e lo ha fatto perché “prima di tutto per sparare ci vuole un esercito e più di trent’anni di strategia repressiva hanno indebolito questa capacità. Poi perché ogni volta che spara, ci ricorda che esiste e la mafia non ha più interesse a manifestarsi come potenza”. La mafia vuole “sommergersi” e “fare in modo che non si parli di lei e utilizza metodi pur sempre persuasivi, ma meno violenti. Poi l’imprenditore sa che ha a che fare con il mafioso, perché la violenza non si manifesta, ma gli viene in qualche misura rappresentata”. Ad oggi “la lotta contro Cosa nostra, proprio in ragione delle stragi del ’92, è a un punto più avanzato. Abbiamo conoscenze di cosa è stata e cos’è oggi e abbiamo inferto colpi importanti al suo patrimonio. La ’Ndrangheta (l’azione repressiva è in corso) in qualche misura ha approfittato della crisi di Cosa nostra per occupare i suoi spazi”.
Fonte: ‘La Stampa'
Foto © Paolo Bassani
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