Era stata la Cassazione a stabilire che bisognava rifare i calcoli sulla pena: il boss di Cosa nostra Gianni Nicchi (difeso dall'avvocato Vincenzo Giambruno) "delfino" del vecchio capomafia Nino Rotolo non deve più scontare complessivamente 27 anni di reclusione, ma 22 anni, sedici dei quali li ha già trascorsi in carcere detenuto in regime di 41 bis.
Nello specifico era stata la prima sezione della Suprema Corte, presieduta da Giuseppe De Marzo, ad aver accolto sia il ricorso del mafioso che quello della Procura generale, annullando con rinvio l'ordinanza che era stata emessa il 16 aprile scorso, ordinando appunto di rifare i conti, senza tuttavia mettere in discussione la sostanza.
Ciò significa che tra cinque anni avrà finito di pagare il suo debito con la giustizia.
Secondo i giudici della prima sezione della Corte d’Appello, presieduta da Adriana Piras, c’è stata la ‘continuazione’ tra le diverse condanne definitive inflitte al boss: una diventata definitiva nel 2011 con una pena di 12 anni per mafia e tentata estorsione aggravata, una definitiva nel 2016 con una pena di 8 anni per mafia e un'altra definitiva nel 2022 con una condanna a 7 anni e 4 mesi per droga. Sommate così, Nicchi dovrebbe dunque scontare 27 anni e 4 mesi, ma vista la "unicità del disegno criminoso tra tutti i fatti oggetto di condanna" e il fatto che i reati sono stati commessi "in continuità temporale", si applica appunto la continuazione e la pena complessiva viene così ridotta.
"Il giudice dell'esecuzione non ha correttamente applicato i principi di diritto - si legge nella sentenza - avendo lo stesso omesso di scorporare i reati già riuniti dal giudice della cognizione per individuare il reato più grave, scevro della diminuzione applicata per la scelta del rito abbreviato". Insomma i calcoli, soprattutto legati allo sconto di un terzo per la scelta del rito alternativo, non sono stati fatti correttamente e la condanna finale deve diventare necessariamente più bassa, tanto che la Cassazione scrive che "all'esito della determinazione della pena nell'entità risultante dopo la riduzione per il rito abbreviato, verificherà se applicare il criterio moderato dell'articolo 78 codice penale", ovvero quello che stabilisce dei limiti massimi agli aumenti delle stesse pene. La nuova sentenza di secondo grado è stata depositata il 15 maggio scorso.
Il boss era stato arrestato nel 2009 dai poliziotti della squadra mobile agli ordini dell'ex capo della Catturandi Mario Bignone che lo avevano trovato in un appartamento in via Filippo Juvara a pochi passi dal palazzo di giustizia. Anche lui era un latitante trovato in città.
Chi è Gianni Nicchi
Giovanni Nicchi, detto "Tiramisù", del mandamento "Pagliarelli" amava le belle donne, la vita mondana, le auto di lusso ma soprattutto le armi.
Fu lui che si mise a capo di una cordata di boss che si opponevano al progetto di rifondazione della cupola mafiosa sventato nel dicembre del 2008.
E per questo era pronto a fare la guerra.
Inoltre fu uno dei nuovi capi delle cosche di Palermo centro: da intercettazioni ambientali del 2004 nel gabbiotto dell’Uditore dove si riunivano i boss legati a Nino Rotolo si apprese che fu Nicchi che diede l'ok per la nomina di Nicola Ingarao a reggente della famiglia di Porta Nuova.
Dalle intercettazioni dell’inchiesta ‘Ghota’ – la microspia venne piazzata in un capannone di lamiera dove i boss si riunivano - gli investigatori ascoltarono le conversazioni dei nuovi capimafia tra cui Nicchi. In una di queste il boss Nino Rotolo (pezzo da novanta dei “corleonesi”) parlò col giovane dandogli le dritte per diventare un buon killer: “Spara sempre due o tre colpi. Non ti avvicinare assai... Non c’è bisogno di fare troppo scruscio. Uno... per buttarlo a terra. Quando cade a terra, in testa e basta. Vedi che in testa poi ti puoi sbrizziari”.
Parlando con un altro mafioso il boss Rotolo disse che Nicchi “è mio figlioccio, però ti dico, per me è come se fosse figlio mio”. E ancora: “Con Giovanni, quando parli con lui è come se parlassi con me. È la stessa cosa...”. Proprio per questa sua vicinanza con Rotolo l’altro capomafia palermitano Salvatore Lo Piccolo (arrestato il 5 novembre del 2007) lo voleva uccidere.
Alla base del dissidio vi era la vicinanza di Nicchi, e del medico di Totò Riina, Antonino Cinà, con Nino Rotolo. Questo particolare è stato raccontato dal pentito Gaspare Pulizzi, fedelissimo di Lo Piccolo, ai magistrati. Nicchi viaggiò anche tra l'Italia e gli Usa, in particolare New York, per incontrare i superstiti delle famiglie mafiose "perdenti" scappate oltreoceano, dei boss Bontate e Inzerillo, dei Badalamenti e dei Di Maggio. In casa di un ‘picciotto’ palermitano le fotografie di un viaggio a New York di Nicchi insieme ad altri rampolli di Cosa nostra.
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